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Comizio al campo nomadi di Roma. I rom a Vauro, Raimo e Tarquinio: "Basta passerelle"

Edoardo Sirignano

 «Sono oltre venti anni che ci promettono la casa e siamo ancora in container fatiscenti. I soliti politici si ricordano della nostra gente solo pochi giorni prima delle elezioni». È la risposta della comunità rom alla passerella della sinistra. Nella giornata di ieri, nella baraccopoli di via dei Gordiani, a Roma, sono arrivati i candidati alle europee delle principali forze progressiste. Il primo è Marco Tarquinio del Pd che parla di contributo fondamentale «da parte di coloro che sono italiani da 600 anni, oltre ogni pregiudizio e stereotipo discriminatorio». Il problema, però, è che, a parte le belle parole, come spiega bene Rian, capofamiglia di Centocelle, «una certa parte politica si ricorda di quei 300 votanti solo in determinati periodi, ovvero li considera connazionali perché devono dare un apporto alla battaglia di partito, mentre li dimentica per tutto il resto». Nonostante ciò, per l’ex direttore dell’Avvenire «è fondamentale il contributo che questo popolo di 6 milioni di persone, il più giovane dell’Ue, può dare al piano culturale ed economico dell’Europa».

 

  

I primi a lamentarsi, però, sono propri ragazzi, che dicono di vivere in un vero e proprio «ghetto 2.0». Ragione per cui le parole del vignettista Vauro Senesi, non affascinano più di tanto le diverse famiglie presenti, a cui interessa poco di programmi e candidature. Il capolista di Pace Terra e Dignità (la lista di Michele Santoro), infatti, sfrutta il momento di confronto, organizzato da Roma for democracy e dal Movimento Kethane, per bersagliare Salvini e il governo. Per Vauro il vicepremier considera i rom «una maledizione», mentre la maggioranza diffonderebbe, a suo parere, una sorta di «razzismo endemico». Sulla stessa scia anche l’intervento di Christian Raimo, candidato per Alleanza Verdi-Sinistra. La differenza è che l’esponente del partito di Fratoianni non solo fa la morale all’esecutivo attuale, ma anche a quei compagni, che lo hanno preceduto nelle visite: «La politica – dice, in apertura del suo intervento – non si fa durante le elezioni». Addirittura ricorda il discorso di Rutelli, che nel 1994 promise a questi signori che le baracche sarebbero state una soluzione transitoria. Siamo nel 2024».

 

La verità più grave, però, è un’altra: quella raccontataci da Dragan, colui che in questo campo ci vive da quando è nato, ovvero che nessuno, «a parte le belle parole, si è mai interessato di un’area, dove i postini non consegnano lettere perché hanno paura». Finanche il gazebo che sarebbe dovuto servire a riparare da un eventuale pioggia non è stato recapitato, a testimonianza di come il buffet, preparato per l’occasione, sia la maschera di un mondo molto più complesso.

«Nonostante ciò – sottolinea Dijana Pavlovic, portavoce di Kethane – queste comunità non si arrendono e lottano per fare in modo che i diritti umani, civili e politici vengano rispettati». Un appello in cui si riconosce pienamente Susanna, giovane quarantenne del campo, che evidenzia come tali interventi servano a poco o nulla: «Continuo a vendere le rose in centro. Dove sono i campi scuola, le lezioni e tutte quelle cose belle che ci hanno promesso i signori che vengono qui? Se davvero ci credono uguali a loro, dovrebbero ascoltarci sempre e non in determinate occasioni».