verso un fisco amico

Redditometro, strumento “arcaico” da aggiornare e rivedere: ecco il piano del governo

Filippo Caleri

Strumento «arcaico», figlio di una cultura vetero marxista, che non rispetta la libertà individuale e la privacy della persona, il redditometro è risorto dalle ceneri di un fuoco che considera il contribuente evasore a priori, fiamma che pareva spenta e superata. E che invece si è ravvivata spinta dalle richieste dell’Unione europea che chiede di abbattere il livello di evasione e dalla Corte dei conti che sollecitava il suo riordino dopo lo stop da parte dal governo Conte nel 2019. Così tra le polemiche della maggioranza, i risolini dell’opposizione, gli scontri verbali e le dinamiche elettorali, la riedizione dello strumento che, in sintesi, compara i redditi dichiarati con il tenore di vita, contestando al cittadino eventuali incongruenze, ha creato 24 ore di autentico impazzimento nei dintorni di Palazzo Chigi. Un cortocircuito che ha creato sconcerto non solo nella politica ma anche tra i professionisti contabili che, dopo aver immaginato un’epoca in cui il fisco divenisse un amico, si sono ritrovati nell’epoca buia del Medioevo delle Entrate, la cui massima espressione è incarnata plasticamente dall’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco. Gli stessi professionisti che, da martedì mattina, si sono arrovellati nel cercare di capire come il viceministro Maurizio Leo, alla fine uno di loro per formazione e competenza, fosse caduto nel grande tranello della riedizione del Redditometro. Un comportamento inspiegabile. E corroborato dalle ipotesi più disparate finanche complottistiche.

 

  

 

Dall’idea che chi entra nelle stanze del potere perde il senno fino alle pressioni di quel «Deep State» che si annida nelle stanze del ministero dell’Economia, tecnici e boiardi di Stato che tengono in mano le chiavi della cassa, del contante che sostiene il pagamento di pensioni e stipendi, e che nei conti di tesoreria, di cash ne vedono sempre meno. Urge per questo trovare un modo per rimpinguare di denaro i forzieri. E quale migliore modo se non il pescare nel mare magnum dell’italica predisposizione all’evasione. Di qui la conseguenziale pressione su Leo per inserire nelle pieghe della delega fiscale il vituperato strumento. Solo illazioni e congetture. Che non spiegano come un ministro di tal valore non si sia reso conto del potenziale effetto distruttivo della resurrezione del sistema. Certo la motivazione è legittima. Bisognava delimitare l’arbitrarietà degli esattori scrivendo regole per un uso rispettoso dei diritti dei contribuenti e della privacy. Impossibile non farlo pena i rilievi della Corte dei conti che in mancanza avrebbe potuto addebitare il danno erariale al ministro dell’Economia reo, a quel punto, di non aver riattivato uno strumento ideato per recuperare incassi fiscali provocando nocumento alle finanze pubbliche. Ma tant’è. Nonostante la condivisione con Istat, garante privacy e consumatori, la comunicazione fallace del Mef e del governo ha trasformato un atto dovuto in un boomerang mediatico. Ora parte il piano per recuperare immagine e sostanza.

 

 

Primo passo la relazione di Leo al Cdm nella quale sarà spiegato cosa non ha funzionato nel processo legislativo che ha portato la crisi comunicativa solo a pubblicazione avvenuta sulla Gazzetta Ufficiale. Prima il pensiero, poi l’azione. E la chiave per uscire dall’impasse si chiama decreto attuativo, quello che scrive il ministero per rendere operativa la norma. In quella sede si inseriranno paletti talmente stringenti da rendere il Redditometro strumento residuale e spuntato. Infine un’operazione di ingegneria semantica suggerita dagli addetti ai lavori per cambiare il nome. Redditometro non ha mai portato bene nemmeno alla sinistra. Se nel nome c’è il destino quello finora usato ha generato solo problemi e risentimenti. Magari si passerà a tutor fiscale proposto da Domenico Posca (presidente Unione italiana Commercialisti) con un aggiornamento annuale dell’incremento patrimoniale e con verifiche di congruità vicine alla data di presentazione delle dichiarazioni limitando così la retroattività delle indagini. Mario Michielino (presidente dell’Associazione nazionale dottori commercialisti) punta invece su una maggiore integrazione tra le banche dati dell’amministrazione finanziaria per scovare gli evasori. Infine Marco Cuchel, presidente dell’Associazione nazionale commercialisti, suggerisce che prima di qualsiasi azione da parte dell’ufficio fiscali, ci sia un’analisi preventiva da parte dei funzionari delle singole posizioni allertate dal sistema. Insomma ora dopo lo stop di Meloni si può partire.