Zingaretti e i cartellini, archiviati i collaboratori. “Lasciati soli, costretti a pagarsi il processo”
Nella primavera del 2019 le ripetute assenze dell’allora Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, mentre era anche impegnato come segretario nazionale del Pd, avevano destato l’attenzione della magistratura che aveva deciso di aprire un fascicolo per guardarci dentro. Secondo il pm Carlo Villani c’erano 38 atti giustificativi falsi, tesi a coprire le assenze del governatore del Lazio con impegni insussistenti: «False dichiarazioni», l’ipotesi accusatoria con cui il pm aveva chiesto il rinvio a giudizio per quattro indagati tra cui Stefano Del Giudice, capo della segreteria di Zingaretti e Andrea Cocco, vice capo di gabinetto. Tra gli episodi rilevati dalla Procura quello del 15 maggio 2019: mentre si svolgeva il consiglio regionale, Zingaretti partecipava a un comizio elettorale dem a Prato. Le opposizioni avevano sollevato il caso del numero legale, che nel consiglio regionale cambia se il presidente è impegnato altrove, se è in missione, se ha impegni istituzionali o se è semplicemente assente. In questi giorni è stata depositata la sentenza: «Non luogo a procedere».
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All’epoca si parlò di «furbetti del cartellino», dove il cartellino da timbrare era quello di Zingaretti. Certamente assente, nella vicenda giudiziaria: curiosamente tutta l’indagine che ruota intorno alle sue mancate presenze in Regione lo ha ignorato completamente. Non è stato indagato, non è stato inserito tra le persone informate dei fatti, non è stato escusso tra i testimoni. Un intero procedimento - con i suoi tempi, i suoi riti, i suoi costi (anche legali) - sulle comunicazioni di assenza di Zingaretti ha visto protagonisti solo i funzionari che svolgevano regolarmente il loro lavoro. «Una cosa molto strana», ci conferma l’avvocato Maurizio Frasacco, che ha preso le difese di uno dei coindagati. «Una indagine che ha puntato solo sui semplici impiegati, che non facevano altro che trasmettere con una catena tipicamente amministrativa l’informazione che Nicola Zingaretti non si sarebbe recato al lavoro. Niente di più, niente di meno». Con quale dinamica, è lui stesso a esplicitarlo: «Evidentemente Zingaretti informava i suoi collaboratori che non sarebbe andato in Regione quel giorno. Come ciascuno di noi, se ha un impedimento, avvisa la sua azienda di non potersi recare al lavoro. La segretaria di Zingaretti avvisava il vicecapo di gabinetto che scriveva una mail per riportare che il presidente quel giorno aveva un impedimento».
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E cos’altro poteva fare, se non quel suo dovere ? Infatti la magistratura ha riconosciuto la condotta legittima dei funzionari e chiuso le loro posizioni. Tutto archiviato. Ma non tutto dimenticato, almeno non per i diretti interessati. La vicenda, traspare, è stata umanamente dolorosa. Zingaretti, a quanto risulta, se ne è tenuto attentamente distante. Non ha mai chiesto di essere sentito dai pm, non ha offerto la sponda della sua testimonianza. Né ha messo a disposizione una assistenza legale per i suoi collaboratori, che sono stati oggettivamente lasciati soli. «Si è completamente disinteressato», conferma il legale. Capo di gabinetto e vicecapo di gabinetto si sono dovuti sobbarcare personalmente anche le spese per gli avvocati. Oltre al danno, la beffa. «Io, se sapessi che qualcuno indaga ingiustamente la mia segretaria, correrei dal magistrato a spiegare la situazione», dice l’avvocato Frasacco. «Non è tollerabile subire sempre, fare la parte dei vasi di coccio solo perché i vasi di piombo non li tocca nessuno».
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