Chico Forti, le comiche di Bonelli&co: per non dire grazie a Meloni riesumano il flop di Di Maio
L’invidia è una confessione d’inferiorità. La massima dello scrittore francese Honoré de Balzac cade a pennello sulla clamorosa rosicata della sinistra sul caso di Chico Forti. I nipotini di Carlo Marx, che da mesi non fanno altro che parlare di Ilaria Salis, da ieri stanno rodendosi dalla bile per l’oggettivo trionfo del governo guidato da Giorgia Meloni. Quel premier che avrebbe dovuto distruggere i conti pubblici, mandare a rotoli i progetti del Pnrr e, soprattutto, avrebbe dovuto essere invisa ai potenti del mondo. E invece, grazie ad un’azione certosina della nostra diplomazia, prima all’insegnante accusata di aver malmenato due estremisti di destra sono stati concessi gli arresti domiciliari (e non è escluso che, nelle prossime settimane, possa persino tornare in Italia). Poi, l’ex velista trentino, condannato per omicidio dopo un processo considerato quantomeno discutibile, per altro senza appello, è tornato in Italia. E dopo aver incontrato il leader di Fratelli d’Italia, è stato trasferito nel carcere di Rebibbia. «Bene Chico Forti che torna in Italia, una lunga battaglia che dura da anni. Ricordo che l’autorizzazione al trasferimento si attendeva da tre anni, dopo l’intervento del governo Draghi conclusosi con quello Meloni - ha ricordato, con leonino coraggio, il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli - Ora facciamo eleggere Ilaria Salis e liberiamola».
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È necessario avvolgere il nastro della memoria e tornare al tempo dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte, il secondo per intendersi, quello appoggiato dai Cinque Stelle e dal Pd. Alla Farnesina c’era Luigi Di Maio. Era il 23 dicembre del 2020,il Paese si apprestava a festeggiare il Natale e il ministro degli Esteri diffuse una nota ufficiale. «Ho una bellissima notizia da darvi: Chico Forti tornerà in Italia. L’ho appena comunicato alla famiglia e ho informato il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio. Il Governatore della Florida ha infatti accolto l’istanza di Chico di avvalersi dei benefici previsti dalla Convenzione di Strasburgo e di essere trasferito in Italia». Un entusiasmo che debordò in una leggerezza non consona ad un ruolo così delicato come quello di ministro degli Esteri. Di Maio diede per scontato il rimpatrio di Chico Forti con la medesima frivolezza con la quale aveva annunciato l’abolizione della povertà. Si auto elogiò per il lavoro diplomatico svolto con l’allora segretario di Stato americano Mike Pompeo. «L’ho incontrato appena arrivato alla Farnesina e se n'è occupato dal primo giorno».
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Parole, parole, parole. Ma Chico Forti restò negli Usa, nonostante l’interessamento anche di Mario Draghi, diventato nel frattempo l’inquilino di Palazzo Chigi. «Davvero non comprendo questo tripudio di Governo su Chico Forti - ha scritto sulla propria pagina Facebook, Enrico Costa, vicesegretario di Azione - Va bene la soddisfazione per l’azione diplomatica andata a buon fine, ma la Presidenza del Consiglio che lova ad accogliere all’aeroporto non ha senso». Forse Costa dimentica cosa successe nel 1999, quando Silvia Baraldini, accusata negli Stati Uniti di associazione sovversiva, venne fatta rimpatriare grazie alle pressioni del governo Prodi prima e D’Alema poi, sulla presidenza Clinton. Ad accoglierla, c’era il leader del Partito dei Comunisti Italiani Armando Cossutta che le portò rose rosse. Ma non basta. Il ministro della Giustizia Oliviero Diliberto affermò che la Baraldini era «una persona il cui ritorno in Italia è fonte di gioia, soddisfazione e orgoglio». Due pesi, due misure. In sintesi: la solita sinistra rosicona.
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