Ilaria Salis, quello strano “grazie” del papà: fa l'ingrato per qualche voto in più
È meglio il silenzio, che l’equivoco. Una massima, quella resa celebre dal poeta francese Arthur Rimbaud, che calza a pennello con l’ennesima sparata di Roberto Salis. Perché se è vero che al cuor di papà tutto (o molto) si concede, è altrettanto assiomatico quanto la misura di certe esternazioni sia davvero colma. Al centro di uno stucchevole botta e risposta col ministro degli Esteri, Antonio Tajani, la concessione degli arresti domiciliari alla figlia, Ilaria. Un grande successo per il nostro Paese e per la diplomazia italiana che è riuscita ad intavolare una complicata trattativa con Budapest. Tutti felici? Macché. Roberto Salis, da ventiquattrore a questa parte, ha reso più dichiarazioni di un primo ministro. Il minimo comune denominatore è la denigrazione costante del certosino lavoro svolto dal nostro governo: «Da quando mia figlia ha accettato la candidatura con Avs tutti i canali di comunicazione esistenti con la diplomazia italiana si sono completamente chiusi. È calato il silenzio più assoluto. Sono profondamente ferito dall'atteggiamento delle istituzioni italiane. Eccetto una: il presidente della Repubblica, che forse è stato l'unica figura istituzionale da cui ci siamo sentiti tutelati, che ci ha trasmesso un profondo senso di rispetto nei confronti dello Stato».
"A spasso col manganello". L'affondo di Italo Bocchino
Un alieno che dovesse giungere sulla Terra e si dovesse imbattere in queste parole, avrebbe il sacrosanto diritto di pensare che l’insegnante più famosa del Paese (con buona pace di chi lotta ogni giorno per insegnare Manzoni, le somme e le caratteristiche del Po) si trovi ancora in galera. Per colpa del crudele Viktor Orban. In realtà, proprio in questo momento ci sono altri 2.200 italiani detenuti nelle carceri di mezzo mondo, spesso in condizioni disumane. Uomini e donne che, spesso, vengono condannati senza aver avuto nemmeno la possibilità di difendersi. Un destino ben diverso da quello occorso ad Ilaria Salis. Il padre Roberto però non sembra esserne consapevole e ha rincarato la dose. «Penso che il merito sia dei giornalisti che hanno sollevato il caso, ma anche della mobilitazione popolare che è nata dopo la diffusione delle immagini di Ilaria in catene al processo e della mobilitazione politica, compresa la scelta della candidatura contro un processo che da subito è stato politico. Tutta questa attenzione io francamente la vedo ancora molto nebulosa. Li dovrei ringraziare? Lasciamo stare. Io non ho dei sassolini nelle scarpe, ho i piedi sanguinanti e prima o poi svuoterò i cassetti di quel che ho da dire. Noi non abbiamo visto alcuna volontà concreta né da parte di Tajani né da parte di Carlo Nordio».
"Stanno in campagna elettorale". Salis, smascherato il doppio gioco
Nel corso della mattinata di ieri, durante un incontro a Livorno, il titolare della Farnesina ha rivendicato il successo della nostra rete diplomatica: «Noi difendiamo e tuteliamo sempre i cittadini italiani, se la signora Salis chiederà di andare ai domiciliari in Italia noi sosterremo la proposta. Credo si possa fare e che non sia in contrasto con il diritto comunitario. Per il resto non rispondo a polemiche di cittadini, noi facciamo il nostro dovere e sono fiero di tutti i nostri diplomatici, fiero del lavoro che ha fatto la nostra ambasciata in Ungheria e di quello che ha fatto il nostro consolato. Non sono parole dette in libertà che possono offuscare l’immagine di donne e uomini che rappresentano il nostro Paese nel mondo e che lavorano con grande impegno e grande correttezza». Poi Tajani ha aggiunto: «Voglio ringraziare la nostra ambasciata per il lavoro svolto. Ora ci adopereremo per gli arresti domiciliari in Italia, facciamo il nostro dovere». E il collega di governo, Francesco Lollobrigida, fa notare: «Capisco che adesso con la figlia candidata ci sia anche da parte sua un certo attivismo per la parte politica per cui la figlia si è candidata, ma non mi permetto di dare dei giudizi».
Grand Budapest Hotel: Salis ai domiciliari. Sinistra delusa, Orban non è un mostro