l’intervista su toti
Toti, i dubbi di Di Pietro: “Il caso Liguria non è Tangentopoli. È ora di separare le carriere”
«Innanzitutto dobbiamo distinguere tra inchiesta nel senso stretto e fenomeno sociale. Durante Tangentopoli - spiega in un’intervista al Tempo l’ex pm di Mani Pulite e più volte ministro Antonio Di Pietro - era presente un insieme di società in grado di ottenere sempre gli appalti in cambio di un finanziamento illecito alla politica».
Dunque quali sono le differenze con l’indagine sul porto di Genova che ha coinvolto tra gli altri il presidente Giovanni Toti?
«Per quanto riguarda il fenomeno possiamo dire che non c’è nulla di nuovo sotto al sole. Però il finanziamento di cui discutiamo in questi giorni sarebbe stato fatto con mezzi leciti, per ciò che concerne il profilo della responsabilità penale la decodificazione del do ut des è più complessa. Prestazione e controprestazione rientrano nella norma del finanziamento ai partiti, pertanto i pm hanno contestato la cosiddetta corruzione funzionale: vale a dire l’utilizzo di denaro per fini personali e non per un’attività pubblica. Aggiungo che sul piano giudiziario mi esprimo con riserva perché si tratta di un’ingegnerizzazione della tangente, qualcosa che potrebbe pure non avere rilevanza penale».
Domanda paradossale: preferirebbe essere un magistrato che accusa il governatore Toti o quest’ultimo?
«Nella mia vita ho fatto il commissario di polizia, il pm, il testimone, l’indagato, l’imputato e oggi l’avvocato, praticamente quasi tutte le figure citate dal primo capitolo del codice di procedura penale. Con ciò voglio dire che è un errore dichiararsi colpevolisti o innocentisti a qualsiasi costo. Ogni volta che indossi un abito diverso, leggendo le carte, cogli una sfumatura in più che prima ti era sfuggita».
Rimpiange i tempi in cui era pm?
«Un po’ mi manca, però, essendo un legale resto all’interno del circuito giudiziario. Circostanza che mi permette di analizzare da una prospettiva privilegiata questo settore e le riforme ad esso collegate. Per esempio non condivido certi atteggiamenti dell’Anm, infatti ritengo che il potere della magistratura non ha bisogno di un sindacato per difendersi. I lavoratori necessitano di un sindacato non certo le toghe, tantomeno dovrebbero scioperare o minacciare di farlo».
È favorevole alla separazione della carriere?
«Le indispensabili premesse, a mio giudizio inamovibili, a tale ipotesi di riforma sono l’indipendenza della magistratura dagli altri poteri e l’articolo 111 della Costituzione. Concetti chiari per i quali mi domando perché non debbo avere carriere separate tra pm e magistrati giudicanti? Anche perché allo stato attuale è lecito, nonostante la buona fede, generare su chi deve essere giudicato il dubbio che la toga abbia un pregiudizio culturale di formazione».
Un altro argomento molto discusso: il premierato, cosa ne pensa?
«Tutti ne parlano ma ancora non si riesce a leggere un testo concreto. Ritengo che qualsiasi riduzione dei poteri del Presidente della Repubblica sarebbe un attentato allo Stato. Ripeto ancora: il perimetro della riforma non è definito in maniera chiara, dunque non è facile esprimere un giudizio. Eppure di atteggiamenti pregiudizievoli a priori, come troppo spesso fa l’opposizione, non ne mancano».
La sua passione per la cosa pubblica è evidente. Tornerà a far politica attiva?
«Lo escludo in maniera categorica. Ho ben presente il senso del limite. La politica è un servizio e non un mestiere. Bisogna dare spazio alle nuove idee, purtroppo ho notato che nella prossima tornata elettorale europea si stanno presentando tante cariatidi. Per dire cosa? Se vuoi fare il vecchio saggio fallo, ma fallo culturalmente. Con gli acciacchi dell’età si recheranno a Strasburgo con le pasticche in tasca».