L'appello di Zanda alla politica: “Il finanziamento ai partiti è un sostegno alla democrazia”
«Il finanziamento pubblico ai partiti è in sostanza finanziamento della democrazia». A dirlo Luigi Zanda, ex capogruppo del Partito Democratico a Palazzo Madama, nonché indiscusso protagonista quando si parla di riforme, a partire dal finanziamento dei soggetti politici, tema tornato d’attualità col caso Toti e su cui, nelle ultime ore, sembrano esserci convergenze che vanno oltre i tradizionali steccati partitici.
Su quest’argomento destra e sinistra dovrebbero collaborare, mettendo da parte le divisioni?
«Sarebbe auspicabile che il Partito Democratico, considerando la sua storia e altre forze, che hanno a cuore le sorti della nostra democrazia, si adoperino in tal senso. Stiamo parlando di un qualcosa di fondamentale affinché venga garantita la massima rappresentanza degli italiani. Parliamo, inoltre, di temi basilari che non possono appartenere a quella guerriglia politica, che poi non porta a risultati, di cui abbiamo profondamente bisogno».
È sorpreso dal fatto che la Forza Italia di Tajani e il Nazareno di Schlein stiano provando a dialogare su un tema così delicato?
«Non sono in Parlamento e non posso commentare, quindi, questioni che non conosco. Allo stesso modo, però, su argomenti fondamentali ritengo che il dialogo resti una prerogativa assoluta, a cui nessuno dovrebbe sottrarsi. Stiamo parlando di un atto di responsabilità».
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Quale è stata la ragione che ha portato a togliere i finanziamenti pubblici ai partiti?
«Il livello raggiunto di finanziamento era esagerato. C’erano stati molti abusi e non si trattava più di un semplice sostegno alla democrazia, ma di un modo sproporzionato e incontrollato di finanziare la politica tutta, anche quella parte che, al contrario, non si doveva alimentare con risorse dello Stato».
Quale, pertanto, la modifica da effettuare per evitare gli errori del passato?
«Bisognerebbe seguire lo schema adottato dall’UE per finanziare i propri parlamentari, cioè finanziare progetti specifici. Mi riferisco a quelle attività politiche che possono essere considerate realmente di supporto al sistema democratico».
Quale è stato, invece, lo sbaglio grossolano?
«Qualcuno ha iniziato a confondere delle risorse per aiutare i partiti in rimborsi elettorali. Addirittura si è arrivati a raddoppiare il finanziamento quando il Parlamento veniva sciolto o le legislature erano molto corte. Ciò è ridicolo e aumenta la sfiducia dei cittadini nei confronti della politica».
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Secondo lei, la sinistra attuale dovrebbe mettere al centro questi argomenti e non parlare unicamente del generale Vannacci, a cui sta facendo solo tanta pubblicità?
«La sinistra dovrebbe fare politica come la fanno tutte le forze in campo, ovvero trattando i temi reale che interessano al Paese, quelli che hanno incarnato da sempre i nostri valori e che hanno consentito svolte epocali. Allo stesso tempo, per la sua natura, dovrebbe occuparsi anche delle regole del gioco. Si dovrebbe adoperare, appunto, per garantire l’attuazione dell’art. 49 della Costituzione, che nei fatti consente di regolare la democrazia all’interno delle forze politiche».
Oggi si parla molto di riforme e in modo particolare di premierato. Quale la sua idea sul tema?
«Ritengo che trasformare l’Italia in una repubblica presidenziale non sia possibile utilizzando l’art. 138 della Costituzione, perché l’intera Costituzione è intrisa di parlamentarismo, tanto che la formula della repubblica parlamentare deve essere considerata un principio supremo immodificabile. Su questo tema, credo la destra stia sbagliando ed è giusto, dunque, chele opposizioni facciano sentire la propria voce».
Rispetto a nodi cruciali per l’avvenire del Paese, sarebbe importante, come avvenuto nel dopoguerra, tentare un confronto istituzionale?
«Il dialogo su certe tematiche è sempre auspicabile. Stiamo parlando di riforme che cambiano, in modo profondo, il Paese. Non ci si può perdere in un dibattito sterile. Pur avendo posizioni diverse e menomale, il confronto non dovrebbe venire mai meno. Stiamo parlando del futuro dell’Italia. Altrimenti è normale che i cittadini siano disinteressati alla politica».
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