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Pd, il boomerang: c'è l'effetto Letta. E ora tutti "pazzi" per Vannacci

Christian Campigli
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In medicina per effetto paradosso si intende la produzione, da parte di un principio attivo, di effetti indesiderati e opposti rispetto a quelli previsti, o anche diversi rispetto a quelli ottenuti alla prima assunzione del principio. Un caposaldo della scienza che, evidentemente, i vertici del Partito Democratico ignorano. Non esistono altre chiavi di lettura se non, appunto, la mancanza di conoscenza per spiegare questo autentico tam tam che i dem stanno portando avanti nei confronti del generale Roberto Vannacci. I noiosi, ripetitivi e prolissi sermoni di Repubblica, nello scorso agosto, hanno trasformato un saggio, pubblicato inizialmente solo su Amazon, in un autentico caso letterario. Trecentomila copie e un introito che, secondo i ben informati, sfiorerebbe il milione di euro. Un trionfo raggiunto grazie alle grancasse dei benpensanti con la villetta a Capalbio. Che, evidentemente, non soddisfatti del «lavoro» svolto la scorsa estate, hanno deciso di raddoppiare. E di lanciare l'uomo dalle cinque stelle verso Bruxelles.

 

 

Il Partito Democratico ha un'autentica ossessione per Vannacci e non passa giorno senza che non ne parli. Tutto ciò, sembra persino banale da evidenziare, amplifica in modo esponenziale la popolarità del candidato scelto da Matteo Salvini per riportare la Lega ai fasti di un tempo. Secondo gli esperti, Vannacci può raccogliere un numero altissimo di preferenze, oscillanti tra le cinquecentomila ed il milione. E portare in dote alla Lega tra i due ed i quattro punti percentuali. La tafazziana tattica del Pd non è certo nuova. E numerosi sono gli esempi dell’errata convinzione di poter assegnare patenti di agibilità politica in base alla loro (presunta) superiorità morale. Silvio Berlusconi rappresentò per Prodi, D’Alema ed i vertici dell’Ulivo una peritonite acuta e persistente. Ogni volta che a sinistra parlavano del Cavaliere cercavano evidenziare l’amicizia (per altro mai negata) col leader socialista Bettino Craxi e di porre l’accento sul mitologico conflitto di interesse. Denunciato in mille salse melense e mai affrontato quando gli elettori italiani avevano concesso loro il potere (nelle due edizioni di esecutivi guidati da Prodi).

 

 

Decisamente più recente il capolavoro politico di Enrico Letta. Nel 2022 il cinquantasettenne pisano ebbe l’intuito di impostare la campagna elettorale sul pericolo antifascista. Un tema nuovo, di stretta attualità. L’allora segretario del Partito Democratico cercò in ogni modo di screditare Giorgia Meloni. Etichettata come l’erede naturale del Ventennio. Bollata come l’esponente che avrebbe devastato i conti pubblici. E avrebbe portato la nostra nazione ad un passo dal default. E che dire delle preoccupazioni che, sempre secondo Letta, tutti i principali partner europei avrebbero avuto di una vittoria del centrodestra nostrano? Il risultato finale è sotto gli occhi di tutti. I conservatori, quelle elezioni del 2022 le hanno stravinte. Il Presidente del Consiglio è oggi uno dei politici più popolari ed amati d’Italia. I conti pubblici, i dati sull’occupazione e gli investimenti non sono mai andati così bene. Nessuno ha chiesto, da Bruxelles, il ritorno di Mario Draghi e, incredibile da credere, non è nemmeno risorto il fascismo. Questa cassa di risonanza, risultata decisiva per Berlusconi prima, Meloni poi, sarà verosimilmente determinante anche per Roberto Vannacci. Che, nella circoscrizione centro, ha già indicato in Susanna Ceccardi l'esponente con il quale sottoscrivere il cosiddetto ticket. La proposta politica più identitaria, il fumo negli occhi degli strateghi dem. 

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