Valeria Fedeli

L’ex ministra Fedeli e gli insulti a Meloni: “Non era questa la mia sinistra”

Edoardo Sirignano

«Bisogna contrastare le idee, affermando le proprie proposte e opinioni, ma mai attaccare un essere umano in quanto donna, sia essa una premier, una parlamentare, una politica o una sindaca. Pur non condividendo nulla delle politiche di Giorgia Meloni, del suo modo di comunicare, questo non può mai diventare una ragione perché qualcuno la offenda o la denigri da un punto di vista personale. Il rapper di Foggia non ha nulla a che fare né con la sinistra di ieri, né con quella odierna». A dirlo l’ex ministro all’Istruzione e dirigente nazionale del Pd Valeria Fedeli.

Come giudica il linguaggio di Gennarone, che davanti a tremila persone, definisce la premier una bo..a?
«Sono sempre per la condanna di un linguaggio che offende, denigra e umilia, così come sono contro quello che succede troppo spesso alle donne che stanno in politica, compresa la premier».

 

  

 

A far discutere, intanto, è il silenzio della sinistra...
«La mia sinistra, quella di oggi, così come quella del passato, non scade mai in questo tipo di attacchi, sia verso gli avversari che le avversarie. Anche se si tratta di un rapper, un modello per tanti giovani che lo seguono, perché probabilmente fa buona musica, nel momento in cui ha un atteggiamento di denigrazione, di sessismo e di maschilismo è sempre e comunque da condannare».

Ancora più grave se a finire nel mirino è un’istituzione...
«Il rispetto della persona deve esserci sempre, da quella più umile a quella nelle istituzioni. È un nostro modo di concepire la qualità della relazione. Il confronto deve avvenire sul merito delle questioni».

 



L’artista, intanto, mette in rilievo, ancora una volta, la polemica sull’antifascismo. Quale la sua idea?
«Basterebbe che ciascuno di noi rileggesse il dibattito dei padri e delle madri costituenti, che hanno discusso per definire e scrivere ogni singolo articolo della Costituzione, per capire che quello che univa tutti (cattolici, comunisti, socialisti, liberali o meglio ancora tutti coloro che hanno partecipato alla Resistenza) è l’antifascismo. È la radice della nostra Carta».

Come sottolinea, l’antifascismo però non dovrebbe appartenere a una sola parte...
«Dovrebbe essere di tutti, essendo la ragione fondativa della Costituzione. La Resistenza non l’hanno fatta solo quelli di sinistra».

Non sarebbe meglio concentrare il dibattito più sui temi attuali e meno su qualcosa di superato?
«Il mio modo di fare politica, venendo dalla Cgil di Lama, Trentin e Di Vittorio, si basa sull’esporre analisi. Quello per cui ti devi presentare quando chiedi il voto dovrebbe essere esclusivamente la proposta. Questo mi hanno insegnato i miei maestri. Fare un confronto che distrugge solo le opinioni altrui a me non convince. Devi dire no a quello che fa la parte avversa, ma allo stesso modo dovresti dire io faccio così, spiegando perché è meglio. Un atteggiamento del genere dimostrerebbe una democrazia matura, una capacità politica delle classi dirigenti di svolgere, al meglio, le proprie responsabilità».