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Fassino, abbiamo un profumo. La denuncia, il precedente e la strana guerra di Piero

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Christian Campigli
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Un precedente inquietante. Che stravolge completamente la chiave di lettura data fino ad oggi. Un’interpretazione correttamente garantista, figlia della logica, del buon senso e della stima per un politico così affermato e tutt'altro che indigente. Stanno emergendo nuovi, clamorosi dettagli sulla vicenda che ha visto coinvolto l’ex ministro della Giustizia, Piero Fassino. Accusato, come è ormai arcinoto, di aver rubato un profumo al duty free di Fiumicino. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Ansa, già in passato l’esponente del Partito Democratico sarebbe stato riconosciuto come autore di un furto nel medesimo negozio del Terminal 1 dell'aeroporto capitolino. Lo stesso nel quale è stato prima pizzicato, poi bloccato con in tasca una confezione di profumo Chanel non pagata ed infine denunciato lo scorso 15 aprile. Nella prima occasione, secondo quanto si apprende da fonti investigative, il deputato dem non era stato fermato. Proprio per questo precedente - messo in luce dagli addetti dell’esercizio commerciale - gli agenti della Polaria avrebbero sentito le testimonianze anche di altri dipendenti del negozio che il 15 aprile non erano presenti.

 

 

Gli investigatori hanno in mano anche le riprese video delle telecamere di sorveglianza del duty free da cui emergerebbe - sempre a quanto trapela - che Fassino avrebbe effettivamente tentato di trafugare il profumo e che il parlamentare non avesse, in realtà, il telefono cellulare in mano, come ha raccontato in seguito. Insomma, si scioglierebbe come neve al sole la tesi difensiva della distrazione figlia di una telefonata ricevuta all'improvviso. Gli elementi acquisiti dalla polizia saranno inseriti ora in un’informativa che verrà trasmessa alla procura di Civitavecchia. Raccontato in modo meno formale, secondo quanto emerge (e che, banale ma doveroso da ricordare, andrà verificato) gli uomini in divisa avrebbero «aspettato al varco» il politico. Se questa tesi accusatoria venisse confermata, è del tutto evidente che si tratterebbe di un problema riconducibile ad un disagio nevrotico e non certo al bisogno di rubare per mancanza di denari in tasca. È vero che Fassino, in un celebre intervento alla Camera dello scorso agosto, sottolineò come «4.700 al mese non rappresentino uno stipendio d'oro». Un compenso mensile con il quale, forse, non si diventerà ricchi, ma pur sempre invidiato dal novanta per cento degli italiani. E che consente agevolmente di poter acquistare un profumo da centotrenta euro. Ma, emergono ulteriori dettagli.

 

 

In questi giorni, abbiamo cercato di comprendere se l’affaire Chanel Chance fosse una grottesca buccia di banana sulla quale lo sbadato ex sindaco di Torino era inciampato o qualcosa di decisamente più inquietante. Ci aveva sorpreso il rumoroso silenzio del Partito Democratico, che non aveva preso le difese di uno dei suoi pezzi da novanta. Ieri mattina, una telefonata con una nostra fonte privilegiata ci ha confermato come, anche all'interno del Nazareno, ci sia «incredulità». Lo spettro del «compagno cleptomane» sta crescendo, di ora in ora. «Al momento non so, onestamente, cosa pensare», aggiunge la fonte. Fassino, diventato una sorta di meme vivente sui social per quella mitologica (ed errata) previsione su Beppe Grillo («comodo criticare sempre, faccia un partito e si butti in politica e vediamo se prende voti») ora rischia un processo per furto. In rete, come era facile immaginare, non si contano gli sfottò. Il più divertente è certamente quello che ritrae il nativo di Avigliana con una camicia di jeans con i primi tre bottoni aperti. Un remake della famigerata pubblicità del profumo Denim Musk. «Per l'uomo che non deve chiedere. Mai».

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