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25 aprile, Fioroni affonda i dem: “Il mio Pd non incitava all'odio. De Gasperi istituì una festa di unità”

Edoardo Sirignano
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«Chi alimenta parole di contrapposizione non ha nulla a che fare con la mia storia, la mia cultura, né col mio Pd. Il partito che ho fondato non incitava all’odio contro nessuno». A dirlo Giuseppe Fioroni, ex ministro e per molti anni leader dei popolari dem.

Il 25 aprile è la festa solo di una parte, come qualcuno cerca di diffondere?
«De Gasperi la istituì come festa della liberazione dal regime nazi-fascista, ma soprattutto come festa dell’unità che chiudeva una pagina di storia divisiva e apriva un nuovo libro di pacificazione. Riteneva l’antifascismo fondamento delle idee ricostruttive del Paese. Questo è lo spirito vero della Resistenza. Non bisogna dimenticare che De Gasperi, seppure era in prigione per il Regime, ogni giorno recitava un padre nostro purché si potesse salvare l’anima di Mussolini. Questo è l’atteggiamento di perdono, di chi guarda a un futuro di pace».

Perché oggi è importante ribadire tale concetto?
«È sempre più diffusa la tentazione di mettere bandierine su tale ricorrenza, da una parte e dall’altra, sperando che la contrapposizione ideologica e il reciproco starnazzare possano servire a recuperare consensi. In questo modo, però, si fa un danno all’Italia. L’antifascismo dovrebbe avere un solo scopo: fare in modo che la qualità della democrazia sia sempre migliore e più attenta ai bisogni dei cittadini».

 

 

In questi giorni, però, chi scende in strada, talvolta, finisce col prendersela addirittura con gli ebrei, motivandolo con quanto accade in Palestina...
«Tutti noi abbiamo ferme nel nostro animo le sofferenze del popolo ebraico. Ragione per cui non occorre potenziare le cause dello scontro, ma piuttosto operare nel solco del diritto interazionale, che non solo divide gli oppressi dagli oppressori, ma dà la possibilità ai due popoli, quello israeliano e quello palestinese, di crescere in armonia e pace, proprio come ci ricorda ogni giorno Papa Francesco».

Qualcuno, intanto, accusa la sinistra di avere posizioni troppo filopalestinesi...
«Chiunque rispetto a una terza guerra mondiale che sta avvenendo a pezzi, dall’Ucraina al Medio Oriente, passando per tanti piccoli conflitti dimenticati, spende parole di contrapposizione, odio o peggio ancora di incitazione commette un errore. È un distruttore di pace, non un costruttore. Se nessuno riesce a capire che dei momenti complessi vanno vissuti con moderazione, che non vuol dire con meno passione delle proprie convinzioni, ma con quella saggezza che ti porta a favorire le ragioni che uniscono a quelle che dividono, è un problema. Da entrambi gli schieramenti estremi, sia a destra che a sinistra, si tende più a cercare le ragioni dello scontro che quelle per la costruzione di un’armonia internazionale».

 



Il suo ex partito, il Pd, non è moderato come un tempo?
«Quello ho contribuito a fondare è altra cosa rispetto all’attuale. Questo ha scelto, in modo legittimo, di essere un partito di sinistra. Siamo di fronte a una coalizione tra la sinistra massimalista della Schlein e quella giustizialista e populista di Conte. Sono entrambe culture legittime, ma che non appartengono più alla mia storia e alla mia cultura. Tutto quello, che viene vissuto con movimentismo e senza senso di moderazione, non mi appartiene».

Non a caso è stato tra i più attivi a promuovere iniziative contro l’antisemitismo...
«Non possiamo dimenticare la Shoah, la deportazione degli ebrei e quel terribile barbaro sterminio. Abbiamo, però, anche un dovere per il futuro rispetto a troppi silenzi che, allora, ci furono».

 

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