retroscena
Salvini, gli “scivoloni” di Draghi e il Quirinale: “Mi chiamò, ma dopo 10 minuti...”
«Ricordo un ultimo incontro con il presidente Draghi in cui sondava la disponibilità della Lega e del centrodestra in generale per un’eventuale sua ascesa al Colle. Alla mia domanda diretta: "In caso di sua elezioni che ne sarà del governo?"» la risposta non arrivò. O meglio, ci fu un «ne parleremo dopo». In un passaggio del suo libro «Controvento» (272 pagine, casa editrice Piemme), che sarà presentato a Milano il 25 aprile per poi entrare nel circuito delle librerie il 30 aprile, il leader della Lega racconta alcuni retroscena di quando Mario Draghi era a Palazzo Chigi. «Il centrodestra - racconta Salvini - partiva con numeri migliori rispetto al centrosinistra, ma non sufficienti a eleggere un proprio esponente senza il sostegno di almeno un pezzo dello schieramento rivale». Un rapporto difficile con il supertecnico che amava fare le cose da solo senza confrontarsi con i partiti politici, se non quando gli si presentò l’occasione di farsi eleggere al Colle.
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Il primo sgarbo istituzionale è avvenuto durante la scelta dei ministri. «Al di là della cortesia dei primi approcci, il premier Draghi scelse di non condividere con i segretari dei partiti nemmeno la scelta dei ministri. Ricordo che ero a casa quando mi squillò il telefono. Palazzo Chigi. Da lì a 10 minuti, i nomi degli aspiranti ministri sarebbero stati consegnati al Colle. Ripeto: 10 minuti». Draghi della Lega scelse di affidare dei dicasteri a Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia ed Erika Stefani. «Nomi autorevoli - dice Salvini - che godono della mia totale stima e fiducia, ma il metodo era evidentemente sbagliato».
Nell’esecutivo dei «migliori» trovò spazio anche Luciana Lamorgese, che Draghi scelse come ministro dell’Interno, una scelta che Salvini definisce «disastrosa». Ma non è l’unica nomina che al vicepremier non piacque. «Per non parlare di Roberto Speranza alla Salute, fino all’irriducibile Di Maio agli Esteri, non esattamente una partenza brillante» scrive Salvini. Il dirigismo di Draghi pesò anche nella stesura della prima manovra economica. «Organizziamo una riunione informale della Lega con il ministro Giorgetti. Chiamai Draghi per confrontarmi su alcune misure e spiegare che la bozza del governo sulla rottamazione delle cartelle esattoriali era assolutamente insufficiente per raggiungere gli obiettivi che ci eravamo ripromessi». Salvini infatti puntava alla pace fiscale ma «quel governo non fece assolutamente nulla di utile in questa direzione». Eppure, sostiene il leader del Carroccio, «non è un premio ai furbi o ai delinquenti, ma un percorso ragionevole per restituire dignità e lavoro a chi si è trovato di fronte a difficoltà inaspettate».