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Meloni-Draghi, la strana coppia per l'Europa

Augusto Minzolini
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Mercoledì davanti alla buvette di Montecitorio, mentre nell’aula si svolge il dibattito alla vigilia del Consiglio europeo, il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, fa il punto sulle grandi manovre che preparano la nomina del nuovo presidente della Commissione Ue all’indomani delle elezioni di giugno. «Intanto - spiega - ci siamo collocati su una posizione più centrale, meno marginale. Se il nostro gruppo al Parlamento di Strasburgo raggiunge 80 seggi non possono fare a meno di noi. Poi vediamo che succede. Per la Commissione c’è da verificare l’ipotesi von der Leyen. Draghi? Beh, avere un riferimento di questo calibro nelle istituzioni europee ci aiuterebbe non poco come Paese». Un atteggiamento «pragmatico» così si potrebbe definire l’approccio del governo sugli equilibri a Bruxelles, quanto mai importanti in una fase internazionale drammatica e dalle mille variabili se si pensa alla guerra in Ucraina, all’ipotesi di un ritorno di Trump alla Casa Bianca, alla crisi medio-orientale e ad una congiuntura economica per molti versi imprevedibile. Che Giorgia Meloni abbia un rapporto privilegiato con Ursula von Der Leyen non è un mistero. Un’intesa cordiale che l’attuale presidente della Commissione ha pagato nelle relazioni con il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Scholz per cui la sua nomina data per sicura non è più certa. Ecco perché oltre all’idea «Ursula», l’Italia deve coltivare un’ipotesi di riserva. Ma quale? E qui entra in gioco la carta Draghi. Ma non solo. Per cui assistiamo al gioco delle coppie Meloni-von der Leyen, Meloni-Draghi, Meloni chissà chi altro.

 

 

L’ex-premier ed ex-governatore della Bce si mostra distaccato, ma è un incarico che non gli dispiacerebbe. Anzi. Con gli amici milanesi, giornalisti e professori, si schermisce: «Le condizioni ci sarebbero, ma è impraticabile. Sono in campo già altre candidature forti». E già, Draghi è scottato dall’ultima corsa per il Quirinale, in cui entrò Papa e uscì cardinale. Il suo pessimismo accademico è raccolto nelle parole regalate dalla signora Serenella al «Foglio»: «La politica non ama mio marito. I politici lo temono. In Europa lui non ci andrà». Eppure i tifosi in Italia non gli mancano. L’ex-ministro e attuale amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani gongolerebbe: «Per l’Italia sarebbe un colpo eccezionale». Tra i riformisti del Pd e nell’area centrale gli estimatori sono tanti. «Sarebbe un ottimo nome - osserva il renziano Davide Faraone - e a noi ci metterebbe in difficoltà perché non potremmo che applaudire. Ma la Meloni non lo farà perché non ha quella maturità. Ogni volta che gli parlano di Draghi lei soffre». Appunto, la politica sul suo nome è divisa. Come ai tempi del Quirinale. Lui è come Sora Camilla tutti la vogliono, ma nessuno la piglia. C’è chi accarezza l’idea e chi, invece, è diffidente. Nel centro-destra soffre l’avversione - quasi ideologica di Salvini - e gode della stima di Giorgetti. Tra gli uomini della Meloni Ciriani è possibilista, mentre il capogruppo, Tommaso Foti, protagonista di epici scontri con il Draghi premier, non è per nulla ammaliato dall’idea: «A noi - dice - andrebbe bene la von der Leyen perché è più veicolatile di Draghi. E poi i popolari vogliono uno dei loro alla presidenza della Commissione». Insomma, il gioco è complicato.

 

 

Quel nome di prestigio sarebbe più facile inserirlo nella nomenklatura Ue come presidente del Consiglio Europeo, come successore di Charles Michel, ma a quel punto andrebbero studiati con attenzione gli equilibri tra le diverse anime dell’Unione. Che sono quantomai complicati, un puzzle che deve tenere conto dell’orientamento politico del Parlamento di Strasburgo, della nazionalità, della posizione dei diversi governi. Un vero esperto di questi giochi è il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha un’esperienza trentennale. «La von der Leyen - spiega - è il primo nome. I popolari la proporranno ma poi bisogna vedere cosa faranno i capi di governo. Non bisogna dimenticare che l’ultima volta la candidatura di Manfred Weber fu silurata da Macron. E, comunque, i popolari tedeschi giocheranno sul nome della von der Leyen solo per il ruolo di presidente di Commissione. Draghi come carta di riserva? Ormai ha una certa età...». Così alla vigilia del voto di giugno le possibili coppie si moltiplicano, come nel minuetto girano in cerchio e si scambiano. Appunto, Meloni-von der Leyn e, Meloni-Draghi, Meloni e... Siamo al festival della fantasia. «Ad esempio - la butta lì il forzista Alessandro Cattaneo - perché non Tajani? Ha un’esperienza impareggiabile in Europa e grandi relazioni. Avrebbe un mandato di 5 anni e come presidente della Commissione sarebbe una risorsa formidabile per il Paese». In fondo se aspiri alla guida della commissione devi lanciare nomi di questo calibro. Se poi ti accontenti del semplice posto di Commissario, invece, i partecipanti al «casting» non mancano, in prima fila i ministri Fitto e Giorgetti. Ma è tutta un’altra storia.

 

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