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Abruzzo, Marsilio senza paura: “Sinistra incapace di condividere un palco”
Siamo al rush finale della campagna elettorale in Abruzzo e Il Tempo, nella parentesi tra un incontro e l’altro di un’agenda fittissima, intercetta Marco Marsilio, presidente della Regione ricandidato anche per questa tornata, esponente di Fratelli d’Italia.
Mancano pochi giorni. È la madre di tutte le battaglie o semplice "tagliando"?
«È una normale scadenza elettorale, che non enfatizzerei troppo. Poi, siamo ben consapevoli che un’elezione regionale è sempre importante e dunque l’affrontiamo con l’attenzione necessaria».
Da dieci giorni la sinistra evoca per l’Abruzzo un “effetto Sardegna”. Ha cambiato qualcosa nella campagna elettorale?
«Ha solo eccitato in maniera a volte eccessiva il campo avverso. Però qualcuno, venuto in Abruzzo pensando di dare qualche spallata, si sta accorgendo della realtà».
Ai cittadini arriva questa pressione politico-mediatica?
«I cittadini sono adulti e votano giudicando e scegliendo secondo il bene del proprio territorio. Difficile pensare che qualcuno voti in Abruzzo pensando alla Sardegna».
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Dilaga il tema dossieraggi. Questo potrebbe incidere nella campagna elettorale?
«Mah, non saprei quanto possa incidere. È inquietante scoprire che gran parte dei "dossierati" facciano parte della classe dirigente vecchia e nuova del centrodestra. Come se ci fosse qualche oscuro centro di potere che, preoccupato dal ricambio politico e per le scelte democratiche dei cittadini, andasse cercando chissà quali scheletri nell’armadio, chissà con quale recondito obiettivo. In ogni caso, la magistratura farà la il suo dovere».
Tornando all’Abruzzo, la sinistra accusa il governo di "soccorso elettorale". Specialmente per le risorse per la Roma-Pescara. C’è stata una strategia elettorale?
«No, è il frutto di un lavoro. La ferrovia Roma-Pescara non ha potuto purtroppo, utilizzare i fondi del Pnrr perché i governi Conte e Draghi che gestirono questo dossier in precedenza hanno perso tempo, fatto arrivare tardi i permessi, concluso tardi le progettazioni. Quando il governo Meloni ha fatto la "check list", RFI ha dovuto ammettere che non era più in grado di rispettare i tempi del Pnrr. Per questo motivo è uscita dall’orbita di quel finanziamento. A quel punto, le opzioni erano due: o lasciarla morire o impegnarsi per rifinanziarla. Nove mesi fa, è stata fatta la seconda scelta. Abbiamo compiuto il nostro dovere».
In queste settimane di campagna, qual è stata la cosa peggiore vissuta?
«Le menzogne sul piano personale. Solo oggi (ieri ndr) di prima mattina mi sono dovuto premurare di dare mandato ai miei legali di fare un altro po’ di querele in sede civile perché qualcuno, su quotidiani nazionali, inventa problemi giudiziari che non ho mai avuto. In vita mia non sono mai stato neanche indagato. Oppure c’è il racconto grottesco di un Presidente che sta sempre a casa sua a Roma e non vede mai l’Abruzzo. Siamo alla demonizzazione dell’avversario, ad una macchina del fango sperando che tutto ciò possa spostare quei 20-30 mila voti che qualcuno pensa possano essere decisivi».
E invece la cosa migliore?
«L’affetto del mio popolo, della mia gente. E di mia moglie che mi segue come un’ombra. Anche se potrebbe darmi il mattarello in testa...come ho detto più volte è l’unica sarda che temo in questa campagna elettorale, perché lei viene da lì. Non temo certo la Todde».
Lei ha accettato l’abbraccio dei leader del centrodestra, insieme sul palco a Pescara. Il suo avversario Luciano D’Amico è parso volersi smarcare dai leader del centrosinistra. Come lo spiega?
«Questo è un racconto sbagliato. Sono due mesi che Schlein, Conte e gli altri stanno a braccetto con il mio avversario, se lo coccolano, se lo portano al seguito. Il problema è che dall’altra parte non si sopportano tra loro e non possono dividere un palco insieme. L’unica cosa che li unisce è la sete di potere. Secondo lei, chi non riesce a condividere un palco può riuscire a formare una giunta e votare insieme le delibere?».