scacchiere geopolitico
Il nuovo ruolo di Meloni se negli Usa vince Trump
Caro direttore, back to Giorgia. Ora che non è più fantapolitica pensare a Donald Trump presidente Usa, si può iniziare a fantasticare sul ruolo che Meloni può avere in questa partita. La premier, a capo del semestre italiano del G7 iniziato ieri con il mediatico summit a Kiev, e fra pochi giorni in visita alla Casa Bianca, sta per giocarsi la sua vera «World cup», a prescindere da quello che sarà l’esito elettorale in Sardegna e in Europa. La «Champions league», l’ha già vinta tra i leader europei. Ma, dopo essersi fatta apprezzare a livello mondiale per serietà, preparazione e anche simpatia, ora la premier rischia, paradossalmente, di dover ritornare alle sue origini, alla Giorgia della Garbatella, qualora i repubblicani di Trump dovessero conquistare di nuovo la Casa Bianca. A loro piaceva molto la Meloni del Cpac-Conservative political action conference del febbraio 2022, quando sorrideva allo slogan «awake not woke» e si impegnava nella lotta contro la sinistra della «cancel culture», contro l’immigrazione, contro la burocrate Europa.
Quella stessa Meloni che,al comizio di Vox, ribadiva, spolmonandosi in spagnolo, le proprie posizioni conservatrici. Se Biden cadrà, questa volta non solo da un palco, alla premier converrà, necessariamente, tornare alle sue radici. Non dovrebbe neanche risultarle troppo difficile, viste le doti sinora messe in campo. Così facendo, può aspirare a diventare l’unica cerniera tra Usa ed Europa, ora che Parigi e Berlino hanno la leadership in retromarcia e la Gran Bretagna post-Brexit è sempre più in mano ai laburisti. Inoltre, la Meloni sarebbe anche la garanzia perfetta per la sua amica Ursula von der Leyen, se quest’ultima dovesse essere rieletta con il suo appoggio in nome di una necessaria realpolitik europea. In giro per l’Europa le due sembrano ormai, simpaticamente, come il gatto e la volpe. Giorgia, per assecondare le richieste di Trump, dovrà impegnarsi a contribuire con il 2% del Pil italiano (oggi fermo all’1,46%) per rilanciare la Nato, bloccando di fatto i progetti pro Francia dell’ad di Leonardo, Roberto Cingolani, che su sicurezza e difesa parla di fusione tra Leonardo e Fincantieri per poter battere Usa e Cina.
Affermazioni sulle quali il Pentagono ha tirato fuori un cartellino giallo che presto arriverà sul tavolo del ministro della Difesa, Guido Crosetto, e su quello del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Ma a differenza di Crosetto, il capo della diplomazia italiana incoronato dal congresso di Forza Italia è, per i repubblicani che contano nel deep state, un personaggio un pochino misterioso. Non ne capiscono l’ostilità verso Trump, considerato un Berlusconi 2.0, e non approvano a volte la sua difesa del Pppe-Partito popolare europeo che mortifica il suo ruolo di capo della Farnesina, peraltro molto apprezzato invece nelle cancellerie europee.
L’ex presidente Usa, dal canto suo, si sta preparando alla rivincita con due certezze in tasca: la prima è che il partito repubblicano - egemone negli Stati Uniti sia per gli Stati in cui governa sia per numero di membri del congresso voterà per lui, anche per non «surriscaldare» i loro stessi elettori, il popolo «Maga» Make America great againconvinti che questo mandato sarà ancora più efficace del primo; la seconda certezza è che, nel mondo, saranno in tanti a fare il tifo per lui, a partire dalle teocrazie mediorientali, poi Israele, India e, incredibilmente, anche la Cina di Xi. Le ragioni sono molto semplici. Anzitutto, il pragmatico Trump è l’unico a parlare di economia e non di guerre, magari sbagliando congiuntivi e protagonisti, ma con un’idea chiara su quello che vuole per il proprio Paese, farlo tornare ad essere leader nel mondo in ambito economico e finanziario. Per giunta, Giorgia sa bene che, in Europa, «the Donald» non ha amici. Per di più le recenti valutazioni sulla Nato e sui costi per i contribuenti americani di questa alleanza, alla fine utile soltanto all’Europa, stanno lì a dimostrare i malumori che si allargheranno a tutti i settori di connessione.
Per Trump i paesi a est di Bruxelles sono molto più interessanti per tecnologia, risorse e finanza. Perché, dunque, perdere tempo con un mondo che lo detesta, ma soprattutto che non cresce più, quando Paesi come Arabia Saudita, Emirati Arabi, India e Cina sono molto più «gestibili» in termini di pragmatismo e business? Ecco perché in tale contesto la questione Ucraina viene incredibilmente considerata ormai marginale. Per tutte queste ragioni, dopo aver perso il pelo, a Meloni servirà non perdere il vizio, evitando così di rimettere in gioco un Conte «versione Giuseppi», come lo battezzò affettuosamente Trump.
Sull’onda della grande politica estera italiana con due guerre terribili e ormai sin troppo lunghe e sanguinose, la premier con la sua autorevolezza internazionale dovrà trovare una strada autonoma e pragmatica che consenta di dialogare con tutti, senza atteggiamenti pregiudizievoli. Questo porta verso il versante cinese, proprio ora che Pechino diventa fondamentale in Africa per la riuscita dell’ambizioso piano Mattei, sinora solo scritto sulla sabbia del Sahara come ben sa l’ad di Eni Claudio Descalzi. La Cina è ormai la seconda economia al mondo e, dopo la pandemia, si avvia verso un periodo di grande tensione sociale e finanziaria. L’operazione di ingegneria sociale realizzata dal Dragone in questi anni con la creazione della più rilevante «middle class» mai strutturata e gli obiettivi di decarbonizzazione che il paese del Mandarino si è dato, creano le condizioni ideali affinché l’Occidente possa offrire a Pechino expertise e soluzioni rodate. Se non saremo noi europei a farlo, lo faranno certamente gli Usa con la nuova amministrazione. Creeranno le condizioni per una nuova «pax» sino-americana, legata al gas naturale (sostituto dell’attuale, economico ma inquinante, carbone) e alle Big Tech (Ai inclusa). Insomma, se, come si immagina, la Meloni e FdI vinceranno le prossime elezioni europee, forse farebbero bene a prepararsi ad una politica internazionale più «multipolare» che «bipolare». E l’ironia vuole che, per aggiudicarsi la sua coppa del mondo, Giorgia non debba nemmeno stravincere le europee. La storia insegna che porta iella.