leggi e contraddizioni

Autonomia differenziata e premierato non possono coesistere: incompatibili

Luigi Bisignani

Caro direttore, autonomia differenziata regionale e premierato: se due grandi «mentori» come Gianni Letta e Giuliano Amato - da sempre ascoltati anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella- e persino il Segretario di Stato della Santa Sede Pietro Parolin pongono interrogativi su questi temi, qualche domanda bisognerebbe pur farsela. L'abbaiare alla luna non porta alcun valore aggiunto al già incandescente dibattito, essendo innegabile che queste riforme, così fortemente volute, l'una dalla Lega e l'altra da Fratelli d'Italia, stravolgeranno il sistema costituzionale italiano. Con il premierato si andranno a modificare ben tre articoli della nostra Costituzione accentrando così il potere a Palazzo Chigi. La faccenda, però, stride con il ddl Calderoli, che proprio in questi giorni ha già avuto il primo via libera in Senato. Di fatto, la riforma a firma leghista sull'autonomia differenziata permette alle regioni a statuto ordinario di richiedere ulteriori forme di autodeterminazione in materie esclusive dello Stato, come ad esempio la salute, l'istruzione, i trasporti, l'ambiente, l'energia e puro il commercio estero. Insomma, il principio di sussidiarietà, già presente in Costituzione, elevato però all'ennesima potenza. 

 

  

 

E tutto fa pensare che, in vista delle elezioni europee, la Lega in crisi di voti, voglia completare l'iter alla Camera prima del 9 giugno così da poter lanciare la bandiera durante la campagna elettorale. Hai voglia, dunque, che Ignazio La Russa affermi: «L'autonomia differenziata va bene, a patto che lo Stato centrale assicuri l'identità nazionale. Le due cose stanno insieme».
Il paradosso politico è evidente, non potendo coesistere due riforme che rappresentano una contraddizione in terminis. Per altro, se nel piatto non trova posto anche l'aspetto economico, la discussione è necessariamente monca. Le nuove competenze regionali saranno compatibili con i nostri vincoli internazionali e, soprattutto, con la finanza pubblica nazionale? Sarà interessante vedere dove si troveranno le coperture con il debito pubblico «monstre» dell'Italia. Ma mettiamo da parte la finanza e proviamo a fare un esercizio teorico, fingendo, per un attimo, che le due riforme, ancora all'esame del Parlamento, siano stato già approvate. Partiamo dall'autonomia. Per quanto riguarda l'Istruzione, cosa succederà? Ogni Governatore pro tempore deciderà i programmi didattici della sua Regione? Chi fisserà, all'ora di storia, cosa far studiare agli alunni o, addirittura, gli argomenti da non inserire nel loro piano di studi? Magari, in Sicilia, ci si soffermerà più su Giuseppe Garibaldi e meno su Giuseppe Mazzini? In Piemonte, più su Cavour e meno sull'eroe dei due mondi? 

 

 

Altro tema spinoso è quello dell'Energia, proprio oggi che ci troviamo nel bel mezzo di una crisi senza precedenti nella storia mondiale. Alcide De Gasperi, dopo aver assicurato al Paese la democrazia con la Costituzione, come suo secondo atto nominò Enrico Mattei commissario dell'Agip, il quale non solo non liquidò la società, ma la trasformò nella grande Eni. Entrambi avevano ben compreso quanto l'indipendenza energetica fosse indispensabile per assicurarci la nostra indipendenza democratica ed industriale. Con la riforma sull'autonomia differenziata, chi andrà in Algeria per il gas, oltre al premier e all'Ad dell'Eni Claudio Descalzi ? I presidenti delle regioni? E al gasdotto che dall'Algeria arriva in Sicilia, cosa accadrà? Deciderà l'Assemblea della Regione Sicilia se chiudere o aprire il rubinetto e fornire il gas al resto dell'Italia? Sarà da popcorn davanti alla tv assistere ad un dibattito televisivo tra i «suddisti» Renato Schifani e Gianfranco Miccichè da una parte, ei «nordisti» Luca Zaia e Attilio Fontana dall'altra. E, sempre sull'energia, che ne sarà dell'Enel della coppia d'oro Scaroni-Cattaneo ? Il processo al contrario di quello che avvenne nel lontano 1962, quando si nazionalizzò proprio per dare all'Italia un Ente Nazionale per l'Energia Elettrica. E sull'Ilva, chi e cosa si deciderà? Molleremo la trattativa con Alcelor Mittal alla Regione Puglia? Quanti uffici, poltrone e incarichi si moltiplicheranno più dei pani e dei pesci, in nome dell'autonomia differenziata? Se anche un istrionico accentratore presidente di regione come Vincenzo De Luca si è schierato contro questa riforma, qualche dubbio il governo dovrebbe porselo. 

 

 

La battuta più bella, dopo il voto sull'autonomia, l'ha fatta Fiorello: «L'autonomia differenziata? Il Sud lo mettiamo nell'umido».
Ulteriormente, con la «madre di tutte le riforme», il premierato, cosa succederebbe, ad esempio, al capo dello Stato se, in qualità di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e del Consiglio Supremo di Difesa, non voleva controfirmare i decreti sulla guerra o sui togati che il «super premier» gli dovesse sottoporre? Un altro bel pasticcio. Chi dei due andrebbe a casa e quanto si sentirebbe «forte» il capo del Governo investito del voto popolare? In sostanza, le due riforme sono, de iure condendo, un ossimoro costituzionale. Per uscire dall'impasse la Meloni, con il governo che annaspa da tutte le parti, ha una sola strada, come scritto già otto mesi fa da Il Tempo: stravincere le elezioni europee ed andare subito al voto per rimarcare la sua straordinaria leadership nel paese . E, a quel punto, magari mettere da parte queste riforme strampalate «do ut des» e puntare sull'elezione diretta del presidente della Repubblica, una volta che il buon Mattarella avrà terminato il suo mandato. Seppure è vero, come dice la Meloni, che «il bilancio finale di questa maratona si farà tra cinque anni», è certa, a questo punto il premier che il suo governo con tanti ministri che traballano da Ciriani a Pichetto Fratin, da Zangrillo a Locatelli, ci arrivi? O rischi invece di finire nella raccolta indifferenziata.