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Meloni sventa l'imboscata di Conte e Schlein: botta e risposta alla Camera
È andato in scena, durante il question time alla Camera, il preludio del confronto a cui forse assisteremo alle Europee se Meloni, Schlein e Conte decideranno di candidarsi. Un appuntamento che il leader del M5S e la segretaria del Pd sembrano aver preparato insieme. In Aula i due non si vedono dall’inizio, arrivano verso la terza interrogazione, Schlein in giacca gessata e Conte nel suo solito outfit impeccabile in giacca e cravatta. L’avvocato del popolo si fa prima portare un bicchiere d’acqua poi aspetta l’intervento del capogruppo Francesco Silvestri che attacca Meloni sul Patto di Stabilità.
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Il refrain è sempre quello: se Meloni può spendere i soldi del Pnrr è perché Conte da presidente del Consiglio li ha portato in Italia. Il M5S «non si rassegna al fatto che un Primo ministro possa spendere più tempo a parlare dei pandori della Ferragni piuttosto che di uno degli accordi principali che regoleranno le scelte che si faranno in questo Paese» chiede ironico Silvestri. Parole a cui Meloni replica spiegando come i numeri del nuovo Patto di Stabilità sono sostenibili «per un governo serio» mentre più difficile «sarebbe per un governo che ha aumentato il debito pubblico di 250 miliardi in meno di tre anni». Per il premier questa era l’intesa migliore possibile a condizioni date anche perché «quando ti presenti al tavolo delle trattative con un deficit al 5,3% e spieghi che ti servirebbe maggiore flessibilità è possibile che qualcuno ti guardi con diffidenza» soprattutto se quel deficit lo hai fatto per la «ristrutturazione gratuita delle seconde e terze case». Conte però non ci sta e replica parlando di «un pacco di stabilità che prevede un taglio di 12 miliardi l’anno».
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Miliardi che, per Conte, «significheranno nuove tasse, tagli sulle buste paga de gli italiani, tagli alla sanità, tagli alle pensioni». Poi si toglie un sassolino dalla scarpa. In questi mesi Meloni ha più volte definito il Superbonus «la più grande truffa ai danni dello Stato». E così Conte chiude il suo intervento accusando il premier che «la più grande truffa del secolo è quel programma farlocco che lei ha presentato agli elettori. Pensi un po’, lei si è presentata, va in Europa e torna con l’Italia in ginocchio. Voleva aiutare i pensionati e stiamo peggio, voleva i blocchi navali e siamo al record di sbarchi. Patriota com’è ha svenduto ITA ai tedeschi e cede quote di Poste e Ferrovie». Applausi dai banchi del Movimento 5 Stelle e da quelli del Partito democratico, Meloni rimane impassibile, ogni tanto scambia qualche parola con il ministro Urso seduto alla sua destra. Schlein non applaude e non guarda Conte durante il suo intervento, passa gran parte del suo tempo a scrivere. Attende il suo turno, prima di lei ci sono gli interventi di Maria Elena Boschi di Italia Viva e di Manlio Messina di Fratelli d’Italia. Quando tocca a lei inizia citando una storia che l’ha «particolarmente colpita». Il tono è calmo e la voce è controllata. «Tempo fa mi ha colpito un messaggio che ho ricevuto da una donna, alla cui madre, malata oncologica e cardiologica, è stato fissato un appuntamento nel 2026. Non sa nemmeno se ci arriverà». La sanità pubblica. Schlein ha deciso da tempo che questo sarà il «tasto dolente» su cui battere per tutta la campagna elettorale delle Europee. E così attacca il governo colpevole di aver «dimenticato gli eroi della pandemia» oggi costretti a «turni massacranti».
Poi si rivolge direttamente a Meloni che la guarda dai banchi del governo. «Come pensate, Presidente, di abbattere le liste d’attesa chiedendo loro di lavorare ancora di più, o di tappare i buchi assumendo precari o gettonisti che lavorano pagati a ore? L’unico modo per abbattere le liste di attesa è sbloccare il tetto alle assunzioni, una norma obsoleta ferma ai livelli del 2004». Poi mette le mani avanti. «E non mi risponda, come sempre, "però potevate farlo voi". Non solo e non tanto perché io al Governo ancora non ci sono stata, ma perché lei è al Governo da 16 mesi e l’Italia aspetta delle risposte ore». Meloni l’accontenta. «Non le dirò "perché non l’avete fatto voi". Le dirò collega Schlein che considero un’implicita attestazione di stima il fatto che oggi chiediate a noi di risolvere tutti i problemi che voi non avete risolto nei 10 anni in cui siete stati al Governo». Poi ricorda come questo esecutivo, nella figura del ministro della Salute Orazio Schillaci, ha messo mano da subito al dossier per cercare di risolvere l’annosa questione dei medici gettonisti che costano tanto, troppo alle casse dello Stato. Nella sua replica la dem perde l’aplomb di poco prima: «Ero stata più delicata di lei non ho citato l’anno in cui è stato adottato quel tetto di spesa».
Che anno era? Il 2009 e «sa chi era ministro di quel governo? Lei». Schlein ha sicuramente usato meglio di Conte la possibilità di avere l’ultima replica. Ma ci sono degli errori di comunicazione marchiani. La sanità pubblica dal 2010 al 2020 ha subito un taglio da 37 miliardi di euro complessivi. Dei sette governi che si sono alternati in questo lasso temporale il Pd è stato al governo 4 volte. Schlein però ama ripetere che lei non c’era. Se la segretaria non riconosce l’eredità politica del suo partito sta buttando a mare tutto ciò che è venuto prima di lei. Quello che comunica è che questo non è il Pd, il famoso partito plurale di cui tutti i dem si vantano, ma è il Pd di Elly Schlein che ripudia tutto il pregresso. I dem però apprezzano ma la notizia è che gli applausi arrivano anche dai banchi del Movimento 5 Stelle. Circostanza che i cronisti fanno presente a Schlein, lei apprezza e ricambia: «Ha fatto un bell’intervento. Ha fatto bene a battere sul tasto del Patto di Stabilità». La sensazione però è chiara. Se i due leader dell’opposizione pensavano di preparare la doppia trappola per Meloni sono rimasti delusi. Un preludio di ciò che vedremo in campagna elettorale?