audizione a montecitorio
Meloni di fronte al Giurì d'onore smonta le tesi di Conte
La conferma di quanto sostenuto in Parlamento, ovvero che Giuseppe Conte, nel gennaio del 2021, diede l’indicazione di siglare le modifiche al Mes quando il suo governo era già in crisi, con la firma avvenuta a esecutivo in carica solo per gli affari correnti. Il giorno dopo le dimissioni. La tesi è stata ribadita ieri mattina da Giorgia Meloni, durante l’audizione davanti al Giurì d’onore della Camera, l’organo chiamato dal leader del M5S a valutare la correttezza di quanto sostenuto, appunto, dalla premier negli interventi del 12 e 13 dicembre, alla Camera e poi al Senato, divenuti famosi nelle cronache parlamentari per la frase della ratifica «con il favore delle tenebre».
Giovedì scorso è stato lo stesso Conte a deporre. Ieri il Giurì ha ascoltato per circa un’ora la premier. Meloni è arrivata puntuale, poco prima delle 12, e ha tenuto la sua audizione davanti ai commissari nella biblioteca del presidente della Camera. La prossima settimana, il 25, si terrà una nuova riunione dell’organismo guidato dal vicepresidente di Montecitorio Giorgio Mulè, di cui fanno parte anche il leghista Fabrizio Cecchetti, in qualità di segretario, e i deputati Alessandro Colucci (Noi moderati), Stefano Vaccari (Pd) e Filiberto Zaratti (Avs). Sia Conte che Meloni «hanno esposto le loro posizioni, ora dobbiamo studiare, approfondire, mettere a confronto le dichiarazioni e gli atti parlamentari e poi faremo la relazione Dicembre Il giorno del 2023 in cui Meloni è intervenuta alla Camera. Conte ha contestato la veridicità del suo discorso all’Aula», ha spiegato Mulè al termine dell’audizione. Le comunicazioni sono previste giovedì 25 gennaio. «Non sono previste né una votazione né una discussione, perché è il giurì che è chiamato a dirimere la controversia dichiarando la fondatezza o meno delle accuse», ha aggiunto, assicurando che «la terzietà e l’imparzialità dei componenti della commissione per la responsabilità alla quale sono stati chiamati rappresenta la condizione primaria per svolgere correttamente il lavoro. Il responso non sarà una sentenza».
Nel corso dell’audizione hanno fatto filtrare fonti parlamentari - Meloni avrebbe ribadito e confermato la versione già espressa in Parlamento. Una ricostruzione dei fatti talmente lineare - hanno sottolineato - da non necessitare alcuna documentazione aggiuntiva a supporto. In particolar modo, la premier avrebbe insistito su alcuni concetti ed eventi, precisando anche le date. Non c’è mai stata una maggioranza in Parlamento a favore della firma della riforma del Mes e di conseguenza non si può sostenere che ci fosse un chiaro mandato parlamentare alla sua sottoscrizione, sarebbe l’opinione di Meloni. La risoluzione a cui fa riferimento Conte del 9 dicembre 2020 era generica e fumosa -hanno sottolineato le stesse fonti - e lo stesso Conte, negli interventi parlamentari in piena crisi di governo, ha specificato che non c’era una maggioranza a favore del Mes.
Inoltre, viene fatto notare, l’indicazione dell’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio alla rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea a firmare la riforma del Mes risale al 20 gennaio 2021, data successiva all’apertura della crisi di governo, avviata il 13 gennaio 2021 con le dimissioni dei rappresentanti di Italia viva dalla compagine di governo. Il governo Conte II - sarebbe la ricostruzione fornita - si è poi dimesso il 26 gennaio 2021. Il giorno dopo, il 27 gennaio, con il governo dimissionario in carica solo per gli affari correnti, senza una maggioranza parlamentare a favore del Mes, l’allora rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione Europea, l’ambasciatore Massari, segue le istruzioni ricevute il 20 gennaio e appone comunque la firma all’accordo che modifica il trattato istitutivo del Mes. Si tratta, come è evidente - hanno sottolineato le stesse fonti - di passaggi che hanno messo in imbarazzo l’Italia in quanto è stato firmato un accordo internazionale sul quale non c’era all’epoca e non c’è attualmente una maggioranza parlamentare favorevole.