Beatrice Venezi, insulti a teatro. La sinistra non si scandalizza
È una regola quasi scientifica. Quando si tratta di agitare il fantasmino fascista (il diminutivo è dovuto alla sua dimensione farsesca contemporanea) o della svolta autoritaria in Italia, vale tutto, e la sinistra si accoda a qualsiasi complicità, anche quando si spara nel mucchio, finendo per offendere l’immagine stessa del nostro Paese nel mondo. Di cui tutti dovrebbero avere premura, sì, al di là e al disopra della propria appartenenza politica. E’ avvenuto, per esempio, nel concerto di Capodanno a Nizza, dove è stata contestata la direttrice d’orchestra Beatrice Venezi. L’artista, come noto, è consigliere per la Musica del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Oltre a questo, nei suoi interventi pubblici non ha fatto mistero di una certa contrapposizione rispetto a certi cliché radical chic, tipici di una buona quota del generone intellettuale italiano.
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Questo le è valsa la protesta nizzarda: «Niente fascisti all’opera, niente opera ai fascisti», era la scritta impressa su uno striscione, srotolato dai palchi più alti. L’iniziativa era stata preceduta da una polemica preventiva, già quando era stato annunciato, quest’estate, la presenza di Venezi a Nizza e alcuni comitati avevano auspicato l’annullamento dell’evento. Ovviamente, dalla sinistra nessuna parola a tutela di una figura che, con la sua attività, rappresenta l’arte italiana all’estero. Logiche analoghe se ne sono avute anche a livello di confronto politico, in questo filo della storia lungo quasi trent’anni, allacciato anche nella Seconda Repubblica. Un "soccorso rosso" comunque gradito, nel progressismo nostrano, anche quando deturpa il fondamento pieno della nostra democrazia. Lo scorso anno si erano appena svolte le elezioni politiche, si era nelle settimane di gestazione del governo Meloni e arrivò il primo ministro della Francia, Elisabeth Boone, che si arrogava una sorta di ruolo di vigilanza sull’Italia, «a garantire che i valori sui diritti umani, in particolare sul rispetto dei diritti all’aborto, siano rispettati da tutti». E poi c’era Katharina Barletta, vicepresidente del Parlamento europeo, socialdemocratica, che sentenziava: «La vittoria del centrodestra alle elezioni in Italia è preoccupante».
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In un tentativo di ungherizzazione dell’Italia che non teneva conto né della realtà politico culturale dei partiti nella coalizione di maggioranza, né del fatto che il corpo elettorale si era pronunciato in una consultazione svolta in piena libertà e trasparenza. Salendo su su negli anni, poi, troviamo il caso di Jean Asselborn, ministro degli Esteri di Lussemburgo (quest’anno sarà il ventennale del suo ruolo). Nel 2018, quando Matteo Salvini era ministro dell’Interno, lo accusò, proprio dalle colonne di un quotidiano italiano (Repubblica) di esprimere «concetti figli di un’etica fascista». Qualche giorno prima, l’allora vicepresidente della Commissione Ue Pierre Moscovici (socialista) parlò di «piccoli Mussolini» per il nostro Paese. Poi c’è il caso di scuola, che potrebbe segnare uno dei capitoli iniziali del filone. Nel 2002 l’Italia era ospite d’onore al Salone del Libro di Parigi. L’allora ministro della cultura, Catherine Tasca, disse che se si fosse presentato il presidente del Consiglio Italiano, Silvio Berlusconi, non gli avrebbe stretto la mano.
Beatrice Venezi contestata a Nizza. Stoccata di Donzelli ai "gruppetti ideologici"
«Sono molto preoccupata per la sua politica», disse. A far di contorno alla posizione del ministro, alcuni intellettuali italiani, di sinistra, che lamentavano a suon di interviste sulla stampa francese la deriva da «regime» del nostro Paese. Solito copione, insomma. Alla fine, Berlusconi a Parigi non andò, e l’incombenza se la sobbarcò Vittorio Sgarbi, anche a quel tempo sottosegretario alla Cultura, che ricevette una contestazione molto rumorosa. La sinistra italiana, politica e intellettuale, gongolava. E una lezione arrivò dal giornale d’Oltralpe Nouvel Observateur, mai tenero con Berlusconi, che in quell’occasione contestò alla Tasca una certa incoerenza: da un lato c’era l’intransigenza verso il leader italiano, dall’altro un certo entusiasmo politico verso i regimi comunisti contemporanei. Nella sinistra italiana, però, valeva tutto. Regola buona ieri come oggi.