clausola di salvaguardia nazionale

Patto di stabilità, "aiutino" al nostro Paese: introdotti elementi di flessibilità

Filippo Caleri

Non è andata così male. Almeno ad analizzare la nuova formulazione del Patto di Stabilità, uscita mercoledì sera dall’Ecofin, l’Italia qualche elemento positivo lo ha portato a casa. Certo poteva andare meglio ma il «migliore compromesso possibile», così è stato definito l’accordo, non ha schiacciato all’angolo il Paese. Il primo aspetto da non sottovalutare riguarda il debito e le percentuali da applicare per ridurlo nei prossimi anni. Le regole del Patto di Stabilità e Crescita che andrà in pensione prevedono la riduzione di 1/20 ogni anno della differenza tra il livello del debito in rapporto al Pil che il Paese registra (per l’Italia il 140%) e la soglia del 60% cento prevista nei Trattati. Finora l’applicazione di questa regola avrebbe implicato una riduzione del rapporto tra il debito e Pil di 4 punti percentuali all’anno. La nuova formula prevede un «ammorbidimento» con un decremento annuale pari a un punto percentuale per gli Stati membri, come l’Italia, con debito superiore al 90 per cento del Pil (mentre è solo dell 0,5% per chi ha un debito compreso tra 60 e 90% del Pil).

 

  

 

Non solo. La riforma prevede, inoltre, che la riduzione deve essere garantita solo ex-ante, il che significa che, ex-post, se l’economia è andata peggio del previsto, anche se la regola non sarà rispettata, non occorrerà intervenire e non verrà aperta una procedura di infrazione. Infine, la riduzione dell’uno per cento verrà calcolata in media durante il periodo di aggiustamento (di 4 o 7 anni) o, per i Paesi in procedura di deficit eccessivo, a partire dall’anno successivo a quello di uscita dalla procedura e fino alla fine del periodo di aggiustamento. Cambiano anche le regole per il disavanzo. Le regole attuali prevedono che ogni Stato converga al proprio obiettivo di medio termine, definito in termini di saldo strutturale, a una velocità stabilita che tiene conto del livello di debito del Paese (superiore o inferiore al 60 per cento) e della fase ciclica dell’economia. Nel caso dell’Italia, l’obiettivo di medio termine attuale è un avanzo strutturale di bilancio pari allo 0,25% del Pil e la velocità di aggiustamento (ossia di quanto ogni anno ridurre il disavanzo strutturale), data la situazione congiunturale prevista nei prossimi anni, sarebbe pari a 0,6 punti percentuali all’anno in termini di saldo strutturale complessivo.

 

 

La riforma prevede, invece, che l’aggiustamento fiscale continui fino al raggiungimento di un livello di deficit strutturale pari all’1,5% del Pil. A parte il tecnicismo, le nuove regole di fatto allentano il vincolo di pareggio di bilancio strutturale introdotto dal Six-Pack e dal Fiscal Compact (e incorporato nella nostra Costituzione), creando così uno spazio fiscale a regime pari a circa 35 miliardi (a valori attuali). La riforma introduce anche importanti elementi di flessibilità. Viene mantenuta la clausola di salvaguardia generale, nel caso di grave recessione economica nell’Unione. A questa si aggiunge una clausola di salvaguardia nazionale, nel caso di circostanze eccezionali al di fuori del controllo dello Stato membro.

 

 

Si prevedono dei margini di «tolleranza» nel caso di deviazioni dal percorso previsto per la crescita della spesa primaria netta, deviazioni che, entro certi limiti (pari allo 0,3% del Pil a livello annuale e allo 0,6 a livello cumulato), saranno registrate in un conto di controllo ma non daranno luogo all’apertura di procedure di infrazioni. Come richiesto dall’Italia, il conto di controllo si azzererà alla fine di ogni Piano. La riforma introduce importanti elementi anche per incentivare investimenti e riforme. In particolare, il percorso di aggiustamento potrà essere esteso fino a 7 anni a fronte di un programma di investimenti e riforme che migliorino la sostenibilità fiscale e il tasso di crescita potenziale del Paese. Come richiesto dall’Italia, l’estensione sarà di fatto semi automatica quando il Pnrr dello Stato membro, come nel caso italiano, contenga ambiziosi programmi di riforma e di investimenti.