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Ignazio La Russa ha detto solo la verità

Riccardo Mazzoni
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Cos'ha mai detto di così grave il presidente La Russa per essere accusato di aver attaccato il Capo dello Stato mettendo a rischio gli stessi equilibri istituzionali? Premesso che la seconda carica dello Stato dovrebbe limitare al massimo le incursioni nell'arena politica per non dare adito alle solite strumentalizzazioni, La Russa questa volta non ha detto nulla di sconvolgente, limitandosi a fotografare la realtà invalsa negli ultimi tre decenni e ad illustrare il testo di riforma del premierato, che effettivamente non tocca alcuno degli articoli concernenti i poteri del Quirinale. Le opposizioni però sono insorte soprattutto contro la parte del ragionamento secondo cui c'è una Costituzione materia leche attribuisce al presidente della Repubblica poteri più grandi di quelli che originariamente la Costituzione prevedeva, e l'elezione diretta del premier potrebbe ricondurli nel loro alveo naturale, visto che è stata proprio la debolezza della politica a costringere gli inquilini del Colle ad ampliare il loro raggio d'azione. «Meritoriamente» - ha aggiunto il presidente del Senato -e su questo punto è legittimo dissentire. 

 

 

 

È indubbio, infatti, che con gli ultimi Settennati la fisarmonica dei poteri quirinalizi si è allargata talmente a dismisura da configurare a volte un presidenzialismo di fatto. L'interregno Mattarella-Draghi, ad esempio, ha ricordato molto da vicino il modello semipresidenziale francese, come osservò con coraggio il ministro Giorgetti. Da Scalfaro in poi, il ruolo del presidente della Repubblica si è trasformato da quello di semplice notaio della volontà dei partiti a dominus effettivo della vita politica, una piccola rivoluzione ben simboleggiata dal Settennato di Napolitano (basti ricordare le manovre oblique che portarono alla sostituzione di Berlusconi con Monti nel 2011). Lo stesso Mattarella, che pure si è sempre mosso nei canoni dell'ortodossia istituzionale, con la scelta di conferire l'incarico a Draghi all'insaputa dei partiti mise tutti davanti al fatto compiuto instaurando col premier la diarchia ben descritta dal costituzionalista Armaroli nei suoi ultimi lavori. Ma le impronte più profonde di questa deriva restano indubbiamente quelle di Scalfaro, che prima sciolse d'impero il cosiddetto Parlamento degli inquisiti e poi manovrò per far cadere Berlusconi all'inizio della legislatura successiva. «Nel 1994 ci fu un golpe - si lamentò il premier disarcionato - Scalfaro disse a Bossi che io ero nel burrone e che i giudici di Milano mi avrebbero condannato per l'avviso di garanzia ricevuto al G8 di Napoli e che quindi doveva rompere l' alleanza con me per non finirci dentro». 

 

 

Così il Cavaliere ha sempre raccontato il ribaltone che portò la Lega a uscire dal suo governo ea sostenere quello tecnico di Lamberto Dini. La «moral suasion» presidenziale è considerata un valore aggiunto dal punto di vista istituzionale, ma si è trasformata in più occasioni in un vero e proprio interventismo «politico». A questo proposito c'è una data che resta emblematica: l'8 novembre 2011, quando Berlusconi fu costretto a dimettersi perché il rendiconto dello Stato fu approvato dalla Camera, ma gli 308 voti favorevoli non vennero considerati sufficienti a mantenere in vita il governo, anche se non era richiesta la maggioranza assoluta. Quello fu solo l'atto finale di un preciso disegno politico volto a scardinare l'ampia maggioranza di centrodestra scelta dagli italiani nel 2008. Anche in quella occasione ci furono evidenti forzature: consultazioni informali dei gruppi parlamentari al Quirinale mentre il governo era nella pienezza delle sue funzioni, la nomina improvvisa di Monti a senatore a vita, le continue interlocuzioni tra Napolitano e il presidente della Camera (Fini) per questioni molto poco istituzionali ed eminentemente politiche. 

 

 

Molti costituzionalisti allora elogiarono il Colle per aver agito in nome dell'interesse nazionale, col chiaro riflesso pavloviano per cui tutti i mezzi sono leciti quando c'è da fermare la destra. C'è un'ampia letteratura che dimostra quanto inchiostro rosso sia stato sparso contro Berlusconi, in punta di Costituzione, e quanti argomenti speciosi siano stati usati per bloccare ogni riforma costituzionale con lo spauracchio dell'uomo solo al comando. Che la Costituzione materiale abbia trasformato spesso la fisarmonica del Colle in un pianoforte a coda lunga insomma è un fatto, e meglio avrebbe fatto la maggioranza a prenderne atto puntando sul presidenzialismo, per sanare la distanza con quella formale, invece di infilarsi nel vicolo cieco del première.

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