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Riforma costituzionale, Bisignani suona l'allarme: attenti a Mattarella e Barbera

Luigi Bisignani
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Caro direttore, una terza repubblica della terza età. Ma probabilmente non anche della terzietà. Con la Schlein in caduta libera e il «descamisado» Conte in trance agonistica, oggi l’unico vero spauracchio della premier è rappresentato da due «arzilli âgé» che, usciti indenni dalla seconda Repubblica, ora si avviano saltellando alla terza. Professione pro tempore: presidente. Il primo, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il secondo, Augusto Barbera, fresco di nomina alla presidenza della Corte Costituzionale. Tutti e due, da sempre, con il cuore a sinistra, uno con lo scudo crociato sul petto, l’altro con la falce e il martello. Nell’attuale era Meloni, rischia di ripetersi lo stesso schema che portò Matteo Renzi, nel 2016, alle dimissioni da presidente del Consiglio. Non solo per la rinnovata ipotesi di un referendum sul premierato, ma anche per il plotone di esecuzione che si sta creando sulla riforma costituzionale: oltre ai due ultraottantenni Mattarella e Barbera, vanno aggiunti anche Giuliano Amato, Franco Bassanini e Luciano Violante. Oggi sono loro la vera opposizione al governo. Dal premierato all’autonomia differenziata, passando per la riforma della giustizia, questi veterani della politica non hanno alcuna intenzione di fare sconti né alla premier - nonostante la vicinanza sospetta tra lo stesso Violante e il sottosegretario Mantovano - né a quel galantuomo veneziano che è il ministro della Giustizia Carlo Nordio.

 

 

Il nostro Guardasigilli non sa più se continuare a svolgere il mandato in linea con le sue idee, da sempre condivise anche da tutto il centrodestra, sulla separazione delle carriere, la riduzione tempi dei processi, la semplificazione delle procedure, la riforma del Csm e del processo penale. O se, piuttosto, deve assecondare gli umori di Palazzo Chigi, soprattutto quelli del sottosegretario alla Presidenza, Alfredo Mantovano. Quest’ultimo, da ex magistrato, non intende infatti lasciare campo libero a nessuno che non sia lui sulle scelte che riguardano la giustizia. Partì proprio da Mantovano l’idea dei test psicoattitudinali ai magistrati che ha rischiato di mandare a sbattere Nordio. È sempre lui, presentò l’ipotesi al ministro della Giustizia come condivisa con Giorgia Meloni ma, da un successivo confronto tra Nordio e la premier, è poi emerso il contrario, tanto che la norma è stata poi stralciata. Episodi simili, come è noto, ne succedono con cadenza ciclica, ma il cordone sanitario attorno a Nordio, che a volte appare distratto, resta al momento solido. Nel suo ministero lo supporta sicuramente il viceministro Francesco Paolo Sisto, spesso in opposizione persino alla vicecapo di Gabinetto Giusi Bartolozzi, per la quale Sisto non ha mai avuto particolari simpatie, già dai tempi in cui i due erano colleghi deputati di Forza Italia. Meno forte il rapporto di Nordio con il sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove che sinora, più che sostegno, all’azione del ministero di via Arenula ha portato grane o, quantomeno, imbarazzo. L’ultima uscita di «Satanello», così lo chiamano a Montecitorio, durante la manifestazione di FdI «Atreju», lo ha visto direzionare l’incontro sulla giustizia sul classico aut aut «o con noi o contro di noi», a favore di cori da stadio urlati dalla platea, sbigottendo Nordio e la brava Giulia Bongiorno. Tuttavia, alla reputazione della già malconcia giustizia in Italia non giova nessuno dei due atteggiamenti: la giustizia non va urlata né silenziata, ma va certamente riformata e resa affidabile agli occhi di tutti i cittadini, come del resto ci chiede anche l’Europa.

 

 

 

Alcune ipocrisie del nostro Belpaese le porta alla luce Nicola Porro nel suo libro «Gli altarini della sinistra. Giustizia, immigrazione corruzione: come la realtà svela le menzogne». Il vicedirettore de Il Giornale racconta di come uno stantìo canovaccio dei «mantra» di sinistra sulla giustizia, con la cappa di piombo della corrente di «magistratura democratica», oscuri una serie di «singolarità» che coinvolgono quei temi molto cari alla cerchia progressista, dimostrando anche che la tanto autosbandierata superiorità morale della sinistra non è mai esistita e che il doppiopesismo degli amici degli amici fa danni seri a cose e persone. In compenso, l’autorappresentazione che i compagni della Ztl fanno di loro stessi si sta sgretolando davanti all’oggettività dei fatti. Il libro, che si legge con lo stesso sgomento di un romanzo dell’orrore, passa in rassegna alcuni casi sconvolgenti, che vanno da un martire come Enzo Tortora ad un magistrato, oggi condannato in primo grado, che si sente comunque un gradino sotto Dio come Piercamillo Davigo. E Porro fa bene a ricordare la scandalosa campagna mediatica portata avanti da una cosiddetta giornalista glamour idolatrata nei salotti milanesi come Camilla Cederna, che costrinse alle dimissioni dal Quirinale Giovanni Leone e infamò Tortora. Una campagna che ha rivelato il vero fil rouge che lega una certa stampa alle Procure militanti. In un passaggio, l’autore scrive: «La sinistra adorava Twitter quando bloccava Donald Trump e prima che lo comprasse Elon Musk, ora invece lo detesta perché si è permesso di chiedere un abbonamento di 8 dollari a chi voglia essere riconosciuto grazie a una spunta blu. La sinistra ama le élite, quelle che si autoeleggono come tali, non quelle che pagano per avere un segno sul social di un miliardario. La sinistra ama il fact checking, la verifica puntigliosa dei fatti e delle fonti, perché per definizione non si applica ai dogmi religiosi, cioè ai loro. Si può forse fare un controllino sulla data in cui finirà il mondo?». E, ancora, sono narrate vicende più recenti, come quella di Aboubakar Soumahoro, eletto tanto velocemente «papa nero» della sinistra quanto prontamente disconosciuto e «ghettizzato» dai suoi stessi sponsor, compreso l’immancabile sinistrato Gad Lerner che, del paladino dei migranti, dice «È evidente che nei suoi confronti c’è un accanimento speciale, quasi morboso». Da che pulpito viene la predica. Di tutto questo mondo Meloni, alle prese con mille grane, dovrebbe ricordarsi di più. C’è ancora tempo per riparare ma, sul premierato, stia attenta perché la zappa che ha in mano non serve per scavarsi la fossa. E perfino uno navigato come ’Gnazio La Russa, senza il favore delle tenebre, gliel’ha ricordato.

 

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