Burocrazia, troppe leggi costano alle imprese 103 miliardi l'anno
Uno dei mali oscuri dell’Italia. Considerata un nemico da sconfiggere per il centrodestra, biasimata (a parole) e incrementata (nei fatti) dalla sinistra. La burocrazia, la complessità delle norme e il numero spropositato di leggi attualmente in vigore restano uno dei punti critici sui quali il governo ha deciso di intervenire. Un nuovo allarme sul complesso tema è giunto ieri da un’attenta analisi condotta dall'ufficio studi della Cgia di Mestre. In Italia vi sono circa 160 mila norme, di cui poco più di 71 mila approvate a livello nazionale e 89 mila dalle Regioni e dagli enti locali. Un groviglio legislativo (15.500) che è dieci volte superiore al numero complessivo di leggi presenti in Francia (7.000), in Germania (5.500) e nel Regno Unito (3.000). Lo studio non solo evidenzia come tante, troppe norme, creino confusione nei cittadini e nei professionisti, ma rallentino anche in modo significativo la quotidianità delle aziende, allontanino investimenti dei grandi gruppi industriali esteri e, dulcis in fundo, costino alle imprese dello Stivale ben 103 miliardi l’anno.
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Secondo la Cgia, «l'eccessiva proliferazione del numero delle leggi presenti in Italia è in larga parte ascrivibile a due fattori: la mancata soppressione di leggi concorrenti, una volta che una nuova norma viene approvata definitivamente; il sempre più massiccio ricorso ai decreti legge che, per la loro natura, richiedono l’approvazione di ulteriori decreti attuativi. Questa sovrapproduzione normativa ha ingessato il funzionamento della Pubblica Amministrazione con ricadute pesantissime soprattutto per gli imprenditori di piccole dimensioni». Nell’anno precedente al Covid l’espletamento delle procedure amministrative ha sottratto al sistema delle imprese italiane 550 ore di lavoro, che equivalgono a un costo complessivo pari a 103 miliardi, di cui 80 sulle spalle delle Pmi e 23 su quelle delle grandi imprese. Per quanto riguarda l’efficienza della pubblica amministrazione, utilizzando l'indice Institutional Quality Index (Iqi) concepito nel 2014 dall'università di Napoli Federico II, la realtà territoriale più virtuosa d'Italia è Trento, con indice pari a 1. Rispetto a dieci anni prima, la provincia trentina ha recuperato due posizioni a livello nazionale. Seguono al secondo posto Trieste e al terzo Treviso. Appena fuori dal podio Gorizia, Firenze, Venezia, Pordenone, Mantova, Vicenza e Parma: nei primi dieci posti, otto province appartengono alla macro area del Nordest. In coda, infine, Catania, Trapani, Caltanissetta, Crotone e Vibo Valentia.
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Una battaglia, quella contro la pachidermica tendenza italica nel voler normare anche l'aria, che ha visto nel leghista Roberto Calderoli il suo principale avversario. Come non ricordare il 24 marzo del 2010, quando lo storico rappresentante del Carroccio, all’epoca ministro della Semplificazione nell’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi, nel cortile di una caserma romana dei pompieri dette fuoco (letteralmente) ad un enorme muro di scatoloni, costituito da tutte le norme abrogate grazie al suo certosino lavoro. Un taglio, realizzato nei primi ventidue mesi di legislatura, che permise di risparmiare ben 800 milioni di euro l’anno. Un male endemico, sul quale l'esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha intenzione di porre rimedio al più presto. «La mala burocrazia costa ai cittadini l'equivalente di undici punti di Pil - ha ricordato ministro per le Riforme Istituzionali e la Semplificazione Normativa, Elisabetta Casellati - Per combattere questo male sto lavorando insieme ai ministri competenti a diversi testi unici, come il codice ambiente, quello della disabilità e quello della protezione civile, per semplificare le norme e cancellare le sovrapposizioni che complicano la vita di cittadini e imprese frenando la nostra economia».
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