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Prima della Scala, il Pd inventa un altro caso per gridare al fascismo

Pietro De Leo
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Le donne iraniane vessate dal regime degli ayatollah? I blogger di Hong Kong perseguitati dal governo di Pechino? Macché, perla sinistra senza alcun senso della storia né del ridicolo il nuovo baluardo della libertà è racconto Marco Vizzardelli, giornalista e da molti anni loggionista della Scala che l'altra sera, durante la prima, ha gridato «Viva l'Italia antifascista» diventando così l'eroe di questo progressismo così ripiegato sul modernariato novecentesco. Accade che poi Vizzardelli sia stato identificato dalla Digos (cioè gli hanno chiesto i documenti) e così ieri si è scatenato, a suon di post social, il tentativo sinistro di cilenizzare (nel senso dipingere come l'oscuro regime cileno di Pinochet) l' Italia. Il Pd partorisce una grafica che posta nel suo account X, con la scritta che ripercorre le parole gridate da Vizzardelli. «Continueremo a gridarlo, ovunque.
Anche se non piace a Salvini». Il quale Salvini, presente l'altra sera alla prima della Scala, aveva fatto notare che in quel luogo «si viene per ascoltare e non per urlare». Sul palco reale c'era anche il Presidente del Senato Ignazio La Russa, che così come non si è gettato nella mischia degli strali di Cgil e Anpi alla vigilia, anche nel caso del loggionista non sale sul ring: «non ho sentito nulla».

 

 

Tuttavia, la sinistra prova a tirar fuori una tempesta politica dall'identificazione della Digos. Elly Schlein, segretaria Pd, su X rilancia il post del suo partito. Il sindaco di Milano Beppe Sala, anche lui in questi giorni auto arruolatosi nella sfida al Ventennio che non c'è, sottolinea: «al loggionista che ha gridato "Viva l'Italia antifascista" ed è stato identificato, che gli si fa? Chiedo per un amico». Il diretto interessato, Vizzardelli, si cala pienamente nella parte e racconta all'Ansa: «Non sono un pericoloso coaprile, non alla prima della Scala disturbando un evento quasi sacro», scrive il deputato centrista Gianfranco Rotondi, ri-postando la grafica del Pd . Il collega di Forza Italia Flavio Tosi, intervenendo a Tagadà, osserva: «Non ho trovato l'urlo scandaloso, ma ineducato sì. Capisco che chi ha una opinione politica o una idea da diffondere utilizzando l'esterno del teatro per manifestare il suo dissenso, ma all'interno ci vuole rispetto per tutti. Un conto è ciò che accadde durante l'oppressione austroungarica dove si stava provando a liberare il Paese dal nemico in casa, qui c'è un governo democraticamente eletto e con una larga maggioranza in Parlamento».

 

 

Dunque, che sia stata l'Immacolata della persecuzione politica? Per niente. La Questura di Milano in una nota spiega che l'identificazione «non è stata assolutamente determinata dal contenuto della frase pronunciata», ma «è stata effettuata quale modalità ordinaria di controllo preventivo per garantire la sicurezza della manifestazione». Da tragedia a farsa nel giro di qualche ora insomma. Con una domanda che risulta quasi automatica: cosa avrebbero fatto i partiti della sinistra se ad essere contestato fossero state le proprie, di autorità? Un Presidente del Senato proveniente dalle sue fila, i propri ministri, in una serata così solenne? Avrebbero gridato al mancato rispetto delle istituzioni, all'abbrutimento della coscienza pubblica. Ed ecco che questa storiella, sfondo sfumato nel ponte vacanziero, di rilevante ha soltanto l'ennesima esibizione di doppia morale. 

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