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Strage di Erba, tutti i dubbi ancora aperti: la tesi innocentista su Rosa e Olindo

Dario Martini
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Chi ha visto le puntate de Le Iene sulla strage di Erba sa già qual è la tesi di fondo di questo libro. Chi, invece, come scrive questo articolo, conosceva solo la verità processuale, rimarrà letteralmente a bocca aperta. È davvero possibile che Olindo e Rosa siano due innocenti che da diciassette anni si trovano in carcere ingiustamente? Che siano vittime di un clamoroso errore perpetrato in ben tre gradi di giudizio? Antonino Monteleone e Francesco Priano, che con le loro inchieste giornalistiche hanno contribuito in modo decisivo a riaccendere i riflettori mediatici sul caso, ne sono convinti. In Erba (edizioni Piemme, 240 pagine) ripercorrono meticolosamente e minuziosamente tutti i punti oscuri del processo: le prove mai valutate, le intercettazioni sparite, gli interrogatori forzati, le confessioni contraddittorie. «Ci ​​sono decine di motivi per cui gli assassini» di Raffaella Castagna, di suo figlio di due anni Youssef Marzouk, della nonna del bimbo Paola Galli e della vicina di casa Valeria Cherubini, «non possono essere Rosa Bazzi e Olindo Romano, e vogliamo metterle in fila qui di seguito, una volta di più», scrivono gli autori.

 

 

Anche i più scettici di fronte alla tesi innocentista, una volta terminata questa lettura, non potranno non nutrire qualche dubbio. E non potrà non venire loro in mente un caposaldo del codice di procedura penale: «Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio». La domanda, quindi, sorge spontanea: come è possibile che 26 giudici, a cui è stato sottoposto il caso, abbiano preso un abbaglio così grande?
Andiamo con ordine. La condanna all'ergastolo dei coniugi Romano poggia su tre pilastri che la magistratura, in tre gradi di giudizio, ha ritenuto solidi come la roccia. 1) La testimonianza di Mario Frigerio, marito di Valeria Cherubini, l'unico sopravvissuto alla strage nonostante una coltellata potenzialmente mortale alla gola (si è salvato grazie ad una malformazione della carotide). 2) La traccia di sangue di Valeria Cherubini che, a 14 giorni dalla mattanza, è stata trovata sul battitacco dell'auto di Olindo. 3) Quella che gli autori citano le «prove regine»: le confessioni rilasciate da Olindo e Rosa il 10 gennaio 2007, un mese dopo la strage, avvenuta l'11 dicembre 2006. Eppure, «guardando da vicino questi pilastri è facile accorgersi delle loro fragilità evidenti, dei difetti conclamati, dei vizi strutturali», scrivono Monteleone e Priano.

 

 

 

Piccolo inciso: la tesi innocentista non è nuova. In un'altra epoca, proprio a ridosso delle sentenze di condanna, c'è stato un altro giornalista d'inchiesta che per primo ha raccolto le prove "dimenticate" evidenziando alcuni punti oscuri mai analizzati in dibattimento. Si chiama Edoardo Montolli. Il suo lavoro è racchiuso in un altro libro dal titolo emblematico: Il grande abbaglio. È stato lui, per primo, ad instillare il germe del dubbio. Senza entrare troppo nel dettaglio, per evitare di spoilerare i colpi di scena di Erba, possiamo dire che, per prima cosa, viene spiegato il motivo per cui non si può credere che Valeria Cherubini, la vicina di casa del secondo piano della palazzina di via Diaz, sia riuscita a trascinarsi per diciotto gradini nonostante fosse stata trafitta da 47 coltellate e colpita violentemente alla testa. E, nonostante avesse la gola e la lingua recise, nel suo tentativo di fuga non abbia disseminato le scale di sangue e sia riuscita ad emettere un grido di aiuto una volta raggiunto il suo appartamento al piano di sopra. Altra domanda decisiva che ancora non ha trovato risposta: come è possibile che non ci sia un'unica prova materiale che riconduca la presenza di Olindo e Rosa sulla scena del crimine? Non c'è un capello, una goccia di sangue, un frammento del loro Dna sotto le unghie delle vittime. Nulla.

 

 

Anzi, c'è il segno di una mano insanguinata nell'appartamento di Raffaella Castagna che non appartiene ai coniugi romano. Non si sa di chi sia. Nessuno si è preso la briga di appurarlo. Ma la vera sorpresa sarà scoprire come sono stati condotti i rilievi sull'auto di Olindo e come è stata eseguita la prova del Luminol. Particolarmente interessanti sono anche gli estratti delle interviste all'ex comandante del Ris Luciano Garofalo. Infine, ma non meno importanti, due ultimi aspetti. Viene ricostruita in modo del tutto inedito la modalità con cui è stata raccolta la testimonianza di Frigerio, il super testimone che nell'aula del processo ha puntato decisamente il dito contro Olindo. E vengono svelati finora elementi inediti delle confessioni, poi ritrattate, dei due condannati. Senza dimenticare le interviste esclusive a Rosa e Olindo nelle carceri di Bollate e Opera. Monteleone e Priano sono consapevoli che «anni di domande legittime» sono spesso «cadute nel vuoto, trattate con diffidenza e sospetto». Ma assicurano di essere stati spinti solo «dall'amore per la verità». Un libro frutto di inchieste giornalistiche non può certamente sovvertire la verità processuale, ma può essere di stimolo a riflettere. Nell'attesa di sapere se le nuove istanze di revisione del processo presentate dal magistrato Cuno Tarfusser e dai legali di Rosa e Olindo saranno accolte o meno.

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