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Giorgia Meloni, la trappola di Gentiloni e Draghi: il retroscena

Luigi Bisignani
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Caro Direttore, Gentiloni studia per diventare Prodi mentre Draghi, spinto da Macron, punta su Ursula. La sinistra ancora in cerca di autore è caduta in piena sindrome «wannabe» il vorrei ma non posso nello slang americano. Con Elly Schlein, fresca finalmente di parrucchiere, che, da stella a stellina, rischia di essere abbandonata quasi da tutti, se non raggiungerà almeno il 20 per cento alle prossime elezioni europee. Perfino Dario Franceschini, suo principale sponsor, di questi tempi, più che al Pd, dove ha iniziato a bombardare Elly per i suoi no, pensa solo ad organizzare la celebrazione per il quarantennale di un grande congresso giovanile della Dc a Maiori nel quale fu consacrato segretario un giovanissimo Renzo Lusetti che la spuntò su Luca Danese, nipote di Giulio Andreotti, e sul doroteo-mastelliano Mauro Fabris, oggi entrambi manager di tutto rispetto e grandi amici tra loro. Invece, al Nazareno, in Tv e in Parlamento, Dariuccio, che sogna sempre il Colle, ha ormai lasciato a briglie sciolte la sua seconda dolce metà, la neo parlamentare Michela Di Biase.

 

 

Ma indipendentemente da come si svilupperanno gli eventi in Italia, «uno spettro si aggira per l'Europa». Non si tratta del richiamo all'incipit del Manifesto del Partito Comunista del 1848 di Marx ed Engels, bensì del proclama del nuovo triumvirato composto da Gentiloni, Draghi e Macron. L'Italia non ha nessuna intenzione di farsi stringere nella morsa del nuovo patto di stabilità e del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), al quale ha però già da tempo versato oltre 14 miliardi di euro e che ad oggi ha una capacità di prestito residua di oltre 400 miliardi, non proprio bruscolini per una Nazione, come dice lei, che a ogni finanziaria si trova a dover grattare il fondo del barile. Giorgia Meloni, saggiamente, per ora ha rinviato entrambe le decisioni, scatenando le critiche di quei benpensanti, politicamente corretti, eurofideisti, ben pagati economisti e maître à penser di sinistra che si sono ricompattati sulla bizzarra idea del premierato. Paolo Gentiloni, ex militante di Lotta Continua, ex rappresentante dei Verdi, ex Margherita ed attualmente Commissario europeo in scadenza, sembra aver ritrovato le sue radici aristocratiche, iniziando ad ordire trame di palazzo per ritornare presidente del Consiglio, nel caso in cui, dopo le Europa, il Governo dovesse essere abbattuto a colpi di spread; oppure, in subordine, per diventare il nuovo Prodi, riunendo sotto lo stesso tetto una coalizione tra il Movimento 5 Stelle e il Pd, Conte, quello meno nobile, permettendo.

 

 

Questo progetto è visto di buon grado dall'Eliseo che, in questo modo, si ritroverebbe un primo ministro italiano prono ai voleri della Francia. Basti pensare che il conte, quello autentico, Gentiloni Silveri, ai tempi in cui era presidente del Consiglio, arrivò persino ad inviare 500 militari italiani nelle caserme della Legione Straniera in Niger per aiutare i francesi a controllare il territorio. Da Commissario europeo non ha mai sostenuto le rivendicazioni del governo Meloni sul nuovo patto di stabilità ed ha accettato supinamente che l'asse franco-tedesco dettasse la linea. Per completare il puzzle, in vista della riapertura a maggio dei giochi sulla presidenza della Commissione Ue, l'abile Macron ora pensa di mettere Mario Draghi al posto dell'incolore Ursula von der Leyen. Con questa mossa, le forze politiche di destra che contrastano la centralità dell'asse franco-tedesco subirebbero un duro colpo. Non a caso, il recente articolo dell'ex banchiere ed ex premier italiano, in cui si auspica la necessità di cedere ulteriori poteri nazionali all'Europa, sembra una chiara intenzione di consegnare l'Italia nelle mani delle élite di Parigi e Berlino.

 

 

Si sta cucinando un piatto a fuoco lento per Giorgia Meloni che, nella migliore delle ipotesi, si ritroverà un capo dell'opposizione spalleggiato da Parigi e un nuovo presidente della Commissione Ue italiana che però seguirà una sua agenda.
Se la presidente del Consiglio non fosse così presa ad ascoltare i Servizi su fantomatiche congiure catilinarie romane, si accorgerebbe subito della trappola che le stanno tendendo. Si mormora che, sulla spinta di Giancarlo Giorgetti (grande amico di Draghi), si appresti a far approvare il Mes in cambio di piccoli ritocchi al Patto di stabilità. Ed è proprio lì che la aspetta Macron. Una volta persa la bandiera di una nuova Europa e piegatasi alle regole imposte da Parigi e Berlino, Giorgia non potrà più gridare al complotto e si ritroverà costretta ad appoggiare Draghi, simbolo di quella parte di Ue e di quelle élite franco-tedesche che hanno determinato il lungo cursus honorum dell'ex banchiere europeo. Riflettendo sulla caparbietà e schiettezza «garbatelliane» con cui ha steso i senatori al question time di giovedì, ora la premier, guardando quei «soloni» europei tutti pettinati ed eleganti, sorride e pensa «Chi ffa li conti senza Giorgia, li rifà ddu' vortice. Ma n'do volete anda'...»

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