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Sindacati, le leggi vanno rispettate, ma c'è chi predica bene e razzola male

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Augusto Minzolini
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La legge è uguale per tutti è una delle espressioni retoriche più strausate nel nostro Paese. E questo vale sicuramente - almeno in parte - per il cittadino anche quando le leggi sono ingiuste o scritte male (cioè nella maggior parte dei casi). Invece, per le grandi istituzioni, specie quelle che hanno una vernice di sinistra, no. A cominciare dal sindacato in questo caso la Cgil e la Uil - che non ci ha pensato due volte a contestare la decisione del garante per gli scioperi per il quale quello proclamato per venerdì prossimo non è uno sciopero generale ma settoriale visto che non riguarda tutte le categorie e, quindi, è sottoposto a dei vincoli temporali in settori come il trasporto pubblico.

 

 

Naturalmente, come avviene sempre nel Belpaese, la polemica tra governo e sindacato si è allargata e ha investito tutta una serie di ambiti in cui l’ideologia la fa da padrona a cominciare dall’accusa reciproca di «politicizzazione»: il governo giudica questo sciopero un’arma impropria, quindi, uno strumento che ha più una finalità politica che non sindacale; mentre il sindacato sostiene il contrario e considera l’ostilità dell’esecutivo un attacco alla sua libertà figlio di un determinata mentalità politica. A parte le giaculatorie che accompagnano ogni polemica, in realtà tutto si riduce ad una questione di regole, alla domanda se debbono essere rispettate o meno. E visto che le mette in dubbio un soggetto che si riempie sempre la bocca di «legalità», di leggi, di principi, cioè il sindacato, allora viene il sospetto che abbiamo di fronte il tipico esempio di chi predica bene e razzola male. Tantopiù che l’obiettivo di Cgil e Uil (la Cisl si è tirata fuori), cioè la paralisi dei trasporti, non colpisce il governo quanto i cittadini e il Paese.

 

 

Sono loro che vengono messi in difficoltà, che patiscono le conseguenze dei riti - perchè di questo si tratta del sindacalismo arcaico. Addirittura le aziende del trasporto pubblico, che hanno il bilancio perennemente in rosso, hanno quasi da guadagnarci perché per quel giorno vengono sollevate dal pagamento dei salari, della benzina, dell’elettricità o di quant’altro: un paradosso nel paradosso. Per non parlare - per carità di patria, pardon, di sindacato - di quello strano «clichè» per cui gli scioperi, specie nei trasporti, vengono proclamati sempre il venerdì o il lunedì. Anche Pietro Ichino, giuslavorista ed ex-senatore del Pd, è scandalizzato da questo comportamento. 

 

 

Inoltre l’uso di simili artifici dimostra che le confederazioni non hanno più il seguito di una volta. È come se ammettessero la propria crisi. E qui arriviamo ad un punto nodale: la «politicizzazione» delle proteste, dell’iniziativa del sindacato, è il vero morbo che ne ha logorato l’autorevolezza. Una vera e propria patologia che lo ha reso meno credibile soprattutto agli occhi dei lavoratori. E, contemporaneamente, non ha aiutato neppure la sinistra politica. Anzi. All’immagine delle manifestazioni oceaniche, dei cinquantamila a piazza del Popolo per parlare dell’ultima, non corrisponde sempre un aumento dei consensi elettorali (nell’ultima settimana sarà un caso ma il Pd ha perso un punto nei sondaggi). Mai come ora, infatti, sembra funzionare il detto «piazze piene, urne vuote». E se guardiamo oltre i confini del nostro orto, sarà un caso ma la sinistra che è al governo in Europa, che è nella stanza dei bottoni in Germania, in Spagna, è che aspira ad entrarci in Inghilterra ha un’impronta riformista per non dire centrista. Insomma, è tutto meno che massimalista come appare invece il Pd della Schlein.

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