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Conte critica Meloni ma aprì le porte del nostro Paese agli 007 della Russia

Riccardo Mazzoni
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Conte, l’avvocato del popolo, non si capacita ancora che uno statista del suo livello sia stato estromesso da Palazzo Chigi da una manovra di Palazzo, e ai suoi successori non ha mai lesinato frecciate al veleno, frutto più di rancore che di motivati ragionamenti politici. Quando si trattò di mandare a casa Draghi, ad esempio, il neo -leader grillino si piazzò in prima fila dopo averlo considerato per un anno e mezzo come un usurpatore, e con la nuova premier il metro non è mai cambiato: opposizione senza sconti (salvo quando si è trattato di strappare sottobanco posti e strapuntini in Rai) e critiche inflessibili a Palazzo Chigi, che nei pensieri di Conte resta una sede vacante in attesa del suo agognato ritorno. In questo scomodo limbo in attesa di rivalsa, la vicenda dei due comici russi che sono riusciti a parlare con la premier beffando filtri diplomatici e filiere di controllo è piovuta come il cacio sui maccheroni, e Conte ha tolto così tutti i freni inibitori lasciandosi andare a un’implacabile requisitoria, parlando di «figuraccia planetaria», con la sua gazzetta che ha titolato con un tonitruante «Il globo terracqueo ride della Meloni».

 

 

La quale, rispondendo a quella telefonata avrebbe messo a rischio la sicurezza e la credibilità del Paese, avendo peraltro svelato «verità che non ha mai raccontato agli italiani», e questo sarebbe addirittura un atto di «codardia». Un vero e proprio crescendo rossiniano di accuse che termina con un giudizio tranchant: «È stato un grave danno per l’Italia, un enorme inganno agli italiani». Boom! Forse per dare il giusto peso a questa sentenza da tribunale monocratico basterebbe la replica ironica di Fratelli d’Italia: «Caro Conte, la telefonata finta che il presidente Meloni ha ricevuto non è paragonabile al brutto scherzo che un comico ha fatto agli italiani mettendo lei a capo di un esecutivo...». Ma in realtà c’è una risposta molto più seria da mettere in campo: Conte fa il suo mestiere pretendendo che Meloni risponda in Parlamento dell’inganno subito da due comici russi, ma quando risponderà compiutamente per aver fatto entrare l’esercito russo in Italia durante la pandemia? I due comici potrebbero essere specialisti delle burle ai potenti del mondo, oppure due personaggi in combutta con i servizi segreti russi, e il loro potrebbe essere dunque stato un atto di guerra ibrida: forse non lo sapremo mai, ma è invece certo che fra i militari a cui il governo Conte aprì i nostri confini c’erano anche agenti segreti russi di primissimo livello.

 

 

Qui, davvero, non c’è nulla da scherzare, altro che intrighi telefonici: la missione «Dalla Russia con amore», concordata direttamente da Putin col premier, fece atterrare all’aeroporto di Pratica di Mare tredici quadrireattori Ilyushin con a bordo 72 militari, 28 medici e quattro infermieri, tra i quali due illustri virologi. Una delegazione quantomeno anomala, guidata dal generale Sergey Kikot, vicecomandante del reparto di difesa chimica e batteriologica dell’esercito russo, già inviato in Siria e incaricato difendere il presidente Assad dall’accusa di aver usato i gas contro i civili a Ghouta. Il fatto che aerei russi potessero atterrare in un aeroporto militare di un Paese della Nato provocò preoccupazione e sconcerto fra i nostri alleati, e resta tuttora sospesa la domanda sul perché, per avere trenta ventilatori e poche mascherine in più – come ammise lo stesso governo rispondendo a un’interrogazione parlamentare–si accettò di accogliere una spedizione zeppa di militari che facevano parte del servizio segreto delle forze armate russe, e che a bordo di 25 camion girarono per due mesi indisturbati per mezza Italia.

 

 

Quali erano i loro compiti effettivi, e come mai fu l’Italia ad accollarsi le spese di vitto e alloggio, oltre che di trasporto, di quella strana missione? Strana sia per la composizione, sia per le regole d’ingaggio, oltre che per il fatto che l’Italia proprio in quei mesi era oggetto di ripetuti attacchi cibernetici ordinati da Mosca contro infrastrutture sensibili pubbliche e private, segnalati peraltro tempestivamente dalla nostra intelligence per mettere in guardia il governo da una strategia d’attacco volta a destabilizzare il Paese. Il generale Portolano, che nel marzo del 2020 guidava il Comando operativo interforze e dovette trattare direttamente coi vertici della spedizione russa, definì quella missione «anomala da ogni punto di vista». Invece di fare il gradasso per i bruscolini negli occhi altrui, dunque, Conte farebbe meglio a guardare le travi del suo governo: quelle che davvero fecero gravi danni all’Italia.

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