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Riforme, premierato in Consiglio dei ministri. Meloni: "Avanti insieme all'autonomia"
Sarà il Consiglio dei ministri di venerdì 3 novembre a sciogliere gli ultimi nodi, poi la riforma costituzionale vedrà la luce per cominciare il suo lungo iter parlamentare. Dalle notizie che filtrano alla vigilia, non si escludono limature al testo uscito dal vertice di maggioranza di lunedì scorso: elezione diretta del presidente del Consiglio, un premio di maggioranza del 55% e una norma "antiribaltone" sono i tratti salienti del premierat "’all’italiana" sul tavolo del Cdm. Confermata l’elezione «a suffragio universale e diretto» del primo ministro appoggiato da una coalizione che otterrebbe la maggioranza dei seggi in Parlamento (anche se questa disposizione va correlata a una nuova legge elettorale ancora tutta da scrivere), i dubbi nel centrodestra - riportano fonti parlamentari - riguardano soprattutto la modifica che impedisce i ribaltoni e i cambi di maggioranza. La bozza del nuovo articolo 94 della Carta prevede che in caso di premier sfiduciato e dimissionario, infatti, il Capo dello Stato potrà assegnare un nuovo incarico solo allo stesso premier eletto alle urne o a un parlamentare eletto nelle liste a lui collegate, per «attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere». C’è chi, a partire dal presidente del Senato Ignazio La Russa e - parrebbe a giudicare dai rumors - dalla stessa premier Giorgia Meloni, vorrebbe questa norma più stringente, nel senso di favorire il più possibile il ritorno al voto in caso di crisi di governo: l’ipotesi più accreditata è quella di ridurre a una sola volta la facoltà del presidente della Repubblica di incaricare un presidente del Consiglio alternativo, per tornare obbligatoriamente alle urne in caso di nuova sfiducia e di dimissioni. Di certo non saranno più possibili governi tecnici guidati da personalità esterne al Parlamento, così come dovrebbe essere confermata l’abolizione della nomina dei senatori a vita (esclusi gli ex presidenti).
In ogni caso il testo, al momento composto da soli 5 articoli, verrà varato venerdì 3 novembre. Un’altra cosa certa viene ribadita da Meloni: «L’autonomia differenziata cammina di pari passo con il premierato, le due cose si tengono insieme» perché, spiega, «oggi il grande vulnus è dato dal fatto che le regioni hanno un’autorevolezza e una stabilità che mancano al governo centrale, perché il presidente del Consiglio non è eletto direttamente. Se vuoi dare ulteriori poteri alle regioni virtuose, devi avere i giusti contrappesi». Quel che filtra dalle voci in Transatlantico è che con la legge di Bilancio al Senato la Camera sia «libera» per ospitare la prima lettura della riforma con l’obiettivo di concluderla entro le elezioni europee, ed tra un anno si avrebbe la seconda. Nel frattempo si sarà concluso anche l’iter per il disegno di legge sull’autonomia in corso al Senato e dopo la tornata elettorale di giugno potrà esserci il cambio di camera tra i due provvedimenti, che a quel punto potranno procedere parallelamente come sempre auspicato da Meloni. «Abbiamo preso l’impegno di introdurre l’elezione diretta del premier per dare stabilità ai governi e coerenza tra il voto e i governi stessi, sulla base dei modelli che esistono in tutti i Paesi occidentali», afferma il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, mentre il vicepremier Matteo Salvini assicura: «Domani in Cdm daremo il nostro via libera, poi il dibattito parlamentare e poi il Referendum. Se cambia la maggioranza si torna a votare: mi sembra che si dia rispetto al voto popolare». A parte il leader di Italia viva Matteo Renzi, ch comunque si mostra prudente («Sì al sindaco d’Italia ma no a pasticci»), le altre opposizioni restano contrarie: il premierato, sentenzia la segretaria del Pd Elly Schlein, «è una proposta che affossa la repubblica parlamentare, indebolisce le prerogative del presidente della Repubblica ed esautora il Parlamento».