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Landini fa il capo della sinistra. Cgil in corteo contro le riforme

Sì all’accoglienza dei migranti, definita la nuova «resistenza», no all’autonomia differenziata di Calderoli e al presidenzialismo, stop alla guerra in Ucraina, e soprattutto la difesa della Costituzione, ritenuta la «Via Maestra», come recita lo slogan ufficiale. Al corteo della Cgil che ha invaso, e paralizzato, Roma, c’è di tutto. Un po’ di Pd (braccia aperte agli immigrati), un pizzico di 5 Stelle (basta armi a Kiev) e una spolverata generale di sinistra: no senza se e senza ma alle riforme del governo. E la difesa del lavoro? Certo, c’è anche quella, ma sembra quasi nascosta, come se non si potesse non citarla. Anche perché è oggettivamente difficile protestare per la mancanza di posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione, secondo gli ultimi dati Istat di inizio ottobre aggiornati ad agosto, ha toccato il minimo storico da 14 anni: 7,3%. Eppure la Cgil è lo stesso sindacato che nei mesi scorsi ha protestato anche quando il governo ha deciso di tagliare ulteriormente il cuneo fiscale, arrivando a mettere fino a cento euro in più nelle tasche dei lavoratori dipendenti. Il corteo di ieri dà la sensazione tangibile che a scendere in piazza non sia stata tanto la Cgil, ma il partito di Maurizio Landini, che fa politica a tutto campo, sostituendosi ai partiti veri e propri.

 

  

 

Lo sa bene Elly Schlein, salita subito sul carro. La segretaria del Pd si presenta al fianco di Susanna Camusso (ex segretaria del sindacato oggi senatrice dem), canta in coro Bella Ciao, saluta affettuosamente Sergio Cofferati (anche lui ex numero uno della Cgil recentemente rientrato nel Pd) e bacia e abbraccia Landini sotto al palco di piazza San Giovanni. «Qui c’è un’Italia che lotta per i salari, per la sanità pubblica, per le politiche industriali che mancano. Sono molto felice di essere qui, il Partito democratico c’è e ringraziamo la Cgil e tutte le altre associazioni che hanno regalato questa bella giornata di speranza», dice Schlein. Tengono a farsi vedere anche Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, c’è pure una delegazione del Movimento 5 Stelle (Giuseppe Conte è a Foggia). Tutti alla corte del sindacato-partito, che detta la linea alle opposizioni. «Noi non siamo qui per protestare, siamo qui per cambiare la situazione. Noi tutti che oggi siamo qui, così tanti, dobbiamo dire una cosa precisa, dobbiamo prendere tutti insieme impegno preciso: con oggi comincia la lotta per l’applicazione della Costituzione e questo significa fare una lotta territorio per territorio, luogo per luogo, dove i diritti fondamentali li pratichiamo», tuona Landini dal palco. Promette battaglia contro il lavoro precario e chiede il salario minimo, ma poi spazia alla politica estera, da vero segretario di partito: «Non può essere che l’unico, dall’inizio della guerra che ha cercato la via della diplomazia sia stato il Papa. Difendere l’autodeterminazione dei popoli, compreso quello palestinese, significa costruire la pace e non la guerra». Parole che cadono a poche ore dall’imponente attacco contro Israele.

 

 

Poi Landini prende le sembianze di Conte: «Il vero pericolo è che sta aumentano la spesa militare in tutto il mondo, altro che pace. Ma la guerra la paga chi lavora, sia con le bombe sia con il peggioramento delle proprie condizioni». L’analisi geopolitica continua: «Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina sono iniziate l’inflazione e la speculazione. La guerra porta alla guerra e a rimetterci sono i cittadini - spiega ai manifestanti -. Per questo condanniamo l’attacco di Hamas contro Israele. Ma ci vuole la volontà, da parte degli organi politici, di riaprire i negoziati. Stanno aumentando le spese in armi, in particolare in armi nucleari. Bisogna fermare la corsa al riarmo. È un tema che va risollevato perché senza la pace non ci sono diritti per coloro che lavorano. E sono i lavoratori a pagare la guerra».