Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Iolanda Apostolico? Il Pd dimentica di quando mise alla gogna un magistrato

  • a
  • a
  • a

Per l’Anm è sbagliato chiedere conto di ciò che fanno i magistrati fuori dalle aule dei tribunali. Lo «screening» della loro vita privata, per usare le parole del presidente Giuseppe Santalucia, fa venire meno la necessaria «serenità», precondizione per l’autonomia della magistratura. Tradotto: la Lega non deve chiedere le dimissioni di Iolanda Apostolico, la giudice di Catania che non ha trattenuto tre migranti nel Centro per i rimpatri di Pozzallo, ritenendo le regole varate dal governo in contrasto con la normativa europea. Poco importa se nel 2018 partecipò ad una manifestazione in cui si gridava «poliziotti assassini» e in passato condivideva petizioni per sfiduciare l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Per la sinistra, Pd in testa, Apostolico non si deve dimettere. Deve restare al suo posto.

 

 

Eppure, cinque anni fa, il Partito democratico utilizzò tutt’altro metro di giudizio quando nella bufera finì un altro magistrato. Parliamo di Giuseppe Cioffi, travolto dalle polemiche a causa di un articolo de la Repubblica. L’accusa nei suoi confronti era quella di aver partecipato ad una convention di Forza Italia. Il Pd chiese in massa le sue dimissioni. L’allora ministro della Giustizia, il dem Andrea Orlando, fece scattare gli accertamenti, con tanto di pratica aperta dal Csm. A ricordare il caso di questo magistrato è la Lega, che evidenzia il solito doppiopesismo della sinistra italiana. Il partito di Salvini sottolinea come la terzietà di un giudice debba valere sempre, e non a seconda delle simpatie del momento. La storia di Cioffi è istruttiva. Tra l’altro, ricorda il Carroccio, «non aveva nemmeno condiviso insulti volgari contro i ministri, né era sceso in piazza mentre la folla grida "animali" e "assassini" alla polizia», come invece è accaduto nel caso che riguarda la giudice Apostolico. Nel 2018 Cioffi era presidente di collegio al Tribunale Napoli Nord. Insieme ai colleghi era chiamato a giudicare Aniello e Raffaele Cesaro, fratelli di Luigi, parlamentare di Forza Italia. Prima del processo, La Repubblica lo pizzicò insieme ad altre tre persone accanto alle locandine di una convention di Forza Italia ad Ischia. Tanto bastò per screditarlo senza appello. Lui, almeno inizialmente, provò a fare chiarezza: «Non ho mai preso parte alla convention di Forza Italia ad Ischia, mi sono solo trovato il giorno dopo a prendere un caffè con alcuni amici presso il bar dell’albergo dove si era tenuto il meeting, con le bandiere del partito che ancora non erano state rimosse». Cioffi era tranquillo. «Degli accertamenti avviati dal ministro Orlando non so nulla, ma di certo sto tranquillo dal punto di vista giuridico. Non ho mai conosciuto o frequentato i Cesaro, per cui non ho motivo di astenermi al processo che li riguarda».

 

 

 

Polemica finita? Assolutamente no. Le richieste di dimissioni da parte della sinistra si moltiplicarono. Fu accusato di non essere imparziale. Di aver contravvenuto al sacro principio di terzietà. A quel punto, preferì fare un passo indietro lasciando il processo. «Non voglio fare nessun braccio di ferro, la mia vita e la mia carriera sono case di vetro - disse con amarezza - Non ho fatto nulla per cui dovessi astenermi, ma a questo punto il clamore sollevato dalla vicenda mi fa preferire un passo indietro. La campagna mediatica nazionale su questo caso può creare turbamento nei giovani colleghi che sono con me nel collegio. E lo faccio anche per lo scompiglio che si è venuto a creare nella mia famiglia». Secondo la Lega, la morale di tutta questa storia è una sola: «I magistrati sono tutti uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri».

 

Dai blog