Caso giudice di Catania, difensori d'ufficio accecati dall'ideologia
Tra la giudice Apostolico e Salvini ha ragione indubitabile Salvini: lo ha riconosciuto a denti stretti sul Foglio perfino Giuliano Ferrara, che al Capitano non ha mai fatto sconti e non ne farà. Se non fosse una cosa terribilmente seria, ci sarebbe da sorridere di fronte all'arrampicatura sugli specchi che magistrati, giornalisti e tromboni del circo giustizialista hanno messo in campo ieri per giustificare i comportamenti di lady immigrazione e la sua ostentata postura politica di estrema sinistra. In prima linea, come sempre, il prode Travaglio del Misfatto quotidiano, che ogni giorno invece di articoli di giornale spara sentenze definitive e l'Apostolico l'ha già assolta senza neppure dibattimento, scrivendo che nessuna norma penale o deontologica le vietava di manifestare con tanti cittadini comuni, dicendo però una mezza verità che elude totalmente il principio di opportunità che dovrebbe guidare ogni magistrato nella vita fuori dai tribunali.
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Il caso Apostolico, insomma, per Travaglio sarebbe solo l'ennesimo capitolo della congiura ordita da chi porta ogni giorno fascine di legna al rogo sempre acceso per le streghe moderne, ossia «i magistrati imparziali e indipendenti». Del complotto anti-toghe farebbero ovviamente parte integrante le critiche per la partecipazione del giudice «a un vecchio corteo che non inficia minimamente la sua ordinanza che nega il trattenimento di tre migranti». Perché, attenzione, il direttore del Fatto fa notare che è stata una «partecipazione peraltro silenziosa», tale da non configurare nemmeno una sorta di «concorso esterno» alla manifestazione: erano infatti altri e non lei a inveire contro Salvini, e non contano nulla i like apposti – e poi vanamente rimosso - sul proprio profilo Facebook ad altri volgari insulti contro il ministro. L'unica cosa che conta è far luce su chi ha tirato fuori quella foto. E anche qui la sentenza è già pronta: sicuramente un esperto di dossieraggi con l'intento di «creare caos» e violare la privacy del giudice. Qui però è bene apporre una postilla: nessuno ha infatti messo una telecamera nascosta in casa della signora Apostolico, e se un magistrato sceglie di partecipare a una manifestazione politica in piazza non può certo invocare la privacy: forse avrebbe fatto meglio a pensarci prima.
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Ma la sinistra giudiziaria è adusa da tempo a difendere l'indifendibile, ed è anche abilissima nel ribaltare le frittate, per cui la Repubblica ha scritto parole di fuoco contro il «metodo Salvini» dal quale, essendo vicepremier, si pretende «continenza, rispetto della magistratura e della separazione tra i poteri e il rispetto delle persone in generale», mettendo all'indice il suo «modo sguaiato e incivile di fare politica» (mentre stare in una piazza che urla assassini ai poliziotti è evidentemente una postura da stilnovisti in toga). Ma non basta: l'implacabile notista rimarca anche l'alto livello di incoerenza della posizione di chi presenta il generale Vannacci come un martire della censura e poi si indigna se scopre che un magistrato «ha una propria visione delle cose della vita e della politica», versione altamente specializzata edulcorata di un'improvvisata e palese invasione del campo giudiziario. Questa sinistra strenua sostenitrice della Costituzione intoccabile purtroppo ha dei lapsus: ad esempio ha dimenticato l'esistenza dell'articolo 98, secondo cui ad alcune categorie di cittadini, tra cui proprio i magistrati ei militari in servizio, si possono per legge limitare i diritti politici, prescrivendo loro il dovere di apparire assolutamente al di sopra di qualsiasi diatriba. Dunque Vannacci e Apostolico per la Carta pari sono, con la differenza che un generale è sottoposto a un ferreo ordine gerarchico a cui alla fine deve obbedire, e Vannacci - che ha peraltro espresso opinioni che non attengono al suo incarico - al massimo poteva sbagliare qualche cartina geografica; mentre un giudice ha la terribile facoltà di decidere sulla libertà e sulla vita dei cittadini, ed è dunque questione di ben altra valenza.
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Purtroppo non è tutto: ieri abbiamo anche visto rilanciare da un ex alto magistrato la cosiddetta funzione sociale della magistratura, che è il cavallo di Troia per entrare a gamba tesa sulle decisioni politiche: «È un dovere di noi magistrati - ha scritto con trasporto pari all'indignazione - impegnarsi per i diritti dei più deboli, ea maggior ragione l'esporsi è possibile se collegato ai temi propri della giustizia, un bene comune che può affermarsi solo con l'impegno quotidiano di una collettività sensibile, qualunque sia il lavoro e il sistema di vita di quanti la compone». Secondo questa corrente di pensiero, dunque, un giudice e un metalmeccanico dovrebbero lo stesso diritto di scendere in piazza per protestare contro le politiche del governo, e anzi un magistrato ha il dovere di farlo proprio quando si parla di giustizia. Si tratta insomma di difensori d'ufficio accecati dall'ideologia, per i quali nessuno può chiedere ai magistrati tantomeno alla giudice Apostolico, già assurta a loro eroina - di parlare e scrivere solo con sentenze ed atti giudiziari, né li si può ritenere titolari di «diritti minori» (neanche costui ha evidentemente letto l'articolo 98...). Alla fine di questa fiera dell'assurdo, una domanda è d'obbligo: ma se Travaglio e compagnia cantante si trovassero un giorno in un tribunale immaginario a rispondere di un reato immaginario davanti a un giudice immaginario che è solito mettere come pieni di insulti contro di lui e che è sceso in piazza con l'estrema destra aspetterebbe tranquillo il giudizio o farebbe carte false pur di ricusare questo giudice immaginario appellandosi ai suoi amici magistrati? Ah, saperlo!