Governo, l'Italia va. Alla faccia delle Cassandre di sinistra
«Attenzione Europa, l’Italia sta tornando a spendere», ha titolato il sito Politico.eu, uno di quelli che fa tendenza dalle parti di Bruxelles. Un chiaro segnale agli investitori per alimentare la sfiducia nei nostri confronti dopo la richiesta di sforamento di 14 miliardi contenuta nella Nadef. Non solo: «La terza economia dell’Unione potrebbe provocare un effetto valanga se i conti dovessero deragliare e il Pnrr rimanere incompiuto. In quel caso, come in passato, scatterebbero le cinture di sicurezza del Quirinale», ha scritto ieri un quotidiano del gruppo Stampubblica, che da settimane non fa altro che aumentare il livello d’allarme sulla situazione italiana, preparando il terreno a un altro governo tecnico, per poi accusare la maggioranza di essere in preda alla sindrome del complottismo. Ma, appunto, l’Italia è la terza potenza europea e, come si dice è too big to fail, e se l’Italia ha bisogno dell’Ue, l’Ue non può fare a meno dell’Italia. Per cui Cassandre, corvi e cornacchie dovranno farsi una ragione del fatto che un compromesso si troverà (fu concesso perfino a Conte...), e che alla fine Bruxelles darà via libera alla manovra.
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Con von der Leyen a caccia della riconferma al vertice della Commissione europea, è anzi il momento per il governo Meloni di alzare la posta sia sulla questione migranti che sulla legge di bilancio, magari evitando di rinviare ancora la ratifica del Mes, visto che tanto non lo useremo mai. Tutti siamo consapevoli che i margini finanziari resteranno ristretti anche per il 2025, ma ci sarà tempo per parlarne dopo le elezioni europee, quando il centrodestra giocherà sicuramente la carta dell’ingresso nella prossima Commissione. Le follie no euro sono state giustamente archiviate, siamo per forza europeisti convinti perché il nostro futuro è lì, ma questo non significa essere europeisti acritici perché se noi abbiamole nostre gravi magagne, a partire dall’imponente debito pubblico, l’Europa resta un ibrido istituzionale, né carne né pesce, senza un parlamento sede della sovranità popolare, divisa sulle grandi questioni – dalla difesa comune all’immigrazione–e incapace del salto di qualità da logiche intergovernative a logiche federative di “membership”, e in questo senso l’emissione di debito comune non può limitarsi alle conseguenze della pandemia. Le nuove regole di bilancio dovranno garantire certo finanze pubbliche sostenibili, ma anche flessibilità per gestire le crisi, allineando la politica monetaria della Banca centrale e le politiche di bilancio nazionali, perché lo stato dell’arte ora è divenuto insostenibile: mentre la Bce rialza dissennatamente i tassi in chiave anti-inflazione, gli Stati sono costretti a muoversi, per il combinato disposto delle crisi, con costose manovre ridistributive, e senza un vero coordinamento, allo spettro della recessione si aggiungerà quello dei conflitti sociali.
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Insomma: lo spirito del tempo che portò al «momento Hamilton» dell’Europa e al Next Generation Eu dovrà diventare la nuova cultura di governance dell’Unione soprattutto per sostenere la crescita, l’unico collante che può avvicinare l’Ue ai cittadini. L’Italia è sempre sotto tiro, ma dove andrebbe l’Europa senza di noi? Per carità, i consigli di Giuliano Ferrara, di Galli della Loggia e di Cottarelli vanno ascoltati, ma si inseriscono nel solco di una narrazione apocalittica che cozza con i veri fondamentali del nostro Paese. Il debito pubblico è un macigno che abbiamo al piede da decenni, ma se ampliamo il dato di riferimento alla ricchezza privata, le cose cambiano eccome, perché sul risparmio siamo messi meglio di tutti, anche dei tedeschi. Il risparmio merita un ragionamento a parte, perché non è frutto solo della paura per il presente e della previdenza per l’avvenire: è un fattore decisivo di progresso economico e sociale. Gli italiani continuano a risparmiare ma tengono i soldi sotto il materasso: ci sono quasi 1.800 miliardi fermi sui conti correnti, che non rendono niente e non vanno nell'economia. Se fosse convogliato verso gli investimenti produttivi, l’Azienda Italia risolverebbe molti dei suoi problemi. Del resto, il 75% degli italiani sarebbe propenso, con le opportune garanzie e incentivi, a investire il proprio risparmio nella crescita del Paese. Per il risparmiatore italiano vale sempre la definizione di Einaudi: ha orecchie da elefante, cuore di coniglio e gambe di gazzella. Cioè, capisce tutto, ma è timoroso e pronto a fuggire.
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Per la ripresa è quindi necessario tutelare il risparmio e convogliarlo verso investimenti produttivi. Ma finché nell’Ue non ci sarà un’uniforme pressione fiscale, i singoli Stati competeranno per attrarre risparmi e investimenti, ed è una situazione che ci penalizza, perché in Italia la pressione fiscale è superiore di quattro punti percentuali rispetto alla media europea sul lavoro e di sei sui capitali investiti. Concludendo: siamo la terza potenza comunitaria e abbiamo un risparmio privato enorme, per non parlare dell’altissima percentuale di italiani che posseggono una o più case: possiamo almeno dire che i nostri fondamentali sono migliori di come vengono descritti da chi, qui e all’estero, ci bacchetta continuamente? A leggere certi commenti, sembra che il debito pubblico italiano sia colpa di Meloni e Salvini, e non magari - delle scelleratezze del governo Conte-Pd che ha lasciato i pesantissimi debiti del superbonus. L’importante, per il governo, è muoversi con accortezza in Europa, scegliendo le giuste alleanze, e se la premier sta saldando un asse con la Francia di oggi, Salvini fa bene a mantenere buoni rapporti con Marine Le Pen, che potrebbe essere dopo Macron la prossima presidente francese. Adelante con jucio, dunque, senza dare troppo ascolto alle Cassandre interessate della sinistra.