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Schlein al capolinea nel Pd, ora si scommette su Nardella

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Edoardo Romagnoli
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Il politico non figura certamente fra i lavori cosiddetti «usuranti» ma fare il leader del Partito democratico potrebbe tranquillamente rientrare in questa particolare tipologia di mestieri. E lo sa bene Elly Schlein che, forse, per una sorta di capacità predittiva, o forse perché è stata la rovina degli ultimi segretari, appena insediata sulla sedia più scomoda del Nazareno aveva dichiarato guerra alle correnti. «Non vogliamo più vedere capibastone e cacicchi vari. Basta con le correnti!» aveva tuonato.
Peccato che le buone intenzioni della leader non sono state condivise dagli altri dem. Non solo nessuno ha rinunciato alla propria corrente, piccola o grande che fosse, ma chi non ce l’aveva ha deciso di fondarne una.

 

 

E così prima la «non corrente» di Bonaccini, poi i neoulivisti e ultima in ordine temporale è arrivata anche la «corrente a supporto». Dario Franceschini, Nicola Zingaretti, Dario Nardella, Marco Meloni e Francesco Boccia, entro Natale, ufficializzeranno una nuova corrente, l’ennesima. Per fondarla Dario Franceschini ha deciso di sciogliere Area dem, la sua vecchia formazione. Fra gli ultimi fedeli di Schlein la spiegazione è che stavolta questa corrente sia un modo per rafforzare la leadership della segretaria. Forse dimenticandosi del fatto che lei per prima aveva professato guerra alle divisioni interne. Mentre, almeno per i suoi, ora si servirebbe delle correnti per rafforzare la sua leadership; un controsenso troppo azzardato anche per la storia del Pd.

 

 

L’ipotesi più credibile è che questo sia l’ennesimo tentativo da parte di una delle tante aree del partito di farsi trovare preparati in caso di fallimento della Schlein al prossimo appuntamento elettorale delle europee. Un’ipotesi che prende piede soprattutto per la presenza del sindaco di Firenze Dario Nardella fra i promotori di questa nuova area. In molti lo indicano come il possibile erede allo scranno di Elly Schlein. Per ora sono solo letture politiche, interpretazioni di movimenti che ormai da mesi stanno mettendo in subbuglio gli equilibri interni al Partito democratico. Ciò che è certo è la condizione di debolezza della segretaria, a cui certamente, almeno in parte, ha contribuito lei stessa dando una sterzata netta al timone della nave dem. Ma è innegabile che nel Pd il «tiro al segretario» sia uno sport senza tempo.

 

 

La base avrebbe voluto Bonaccini, forse più in grado di trovare un equilibrio fra le varie anime del partito, ma gli elettori hanno ribaltato quel voto preferendo una figura di rottura. Solo che quando i sondaggi e i primi risultati elettorali non hanno dato riscontro a questa scelta ecco che sono cominciate le manovre per cercare di accreditarsi per il dopo Schlein.
Ecco che allora il fallimento della leader più che un’eventualità è diventato un auspicio, quasi un esito scontato.
In questo momento il gradimento dell’elettorato verso il Pd si attesta al 19%, voto più, voto meno, che è già al di sotto della cosiddetta «quota di sopravvivenza» imposta alla Schlein del 20%. E nessuno, se non la segreteria, scommette su un possibile balzo in avanti nelle urne delle europee. Schlein aveva promesso una rivoluzione che non era in grado di portare avanti da sola, ma l’incapacità di fare una sintesi fra le varie anime l’ha costretta a creare un ristretto circolo di fedeli che a sua volta non ha fatto altro che esacerbare gli animi all’interno del partito fra chi lamenta poca rappresentatività e poco dialogo. Evidentemente in questo circolo vizioso sono in molti a pensare che sia più utile farsi trovare preparati per il tonfo annunciato che lavorare per rafforzare la leadership.

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