Migranti, Orlando critica i Cpr: “Campi di concentramento”. Ma li ha istituiti lui
Se non lo si fa troppo in fretta cambiare idea è lecito, soprattutto in politica, ma disconoscere ciò che si è fatto ieri magari attaccando chi lo fa oggi è al limite del diabolico. La fortuna, per chi lo fa, è che in genere non è una mossa che fa perdere voti perché la memoria in questo Paese è corta e tutto cancella. E così non ha fatto troppo scalpore il fatto che Andrea Orlando si sia scagliato contro i Cpr, Centri di permanenza per il rimpatrio, definendoli «campi di concentramento». Lo stesso Orlando che nel 2017, da ministro della Giustizia, insieme a Marco Minniti, ministro dell’Interno, firmò il decreto Minniti-Orlando che, fra le altre cose, prevedeva l’estensione della rete dei centri di detenzione per i migranti irregolari. Non solo. Aboliva il secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno fatto ricorso contro un diniego, l’abolizione dell’udienza e l’introduzione del lavoro volontario per i migranti. La misura prevedeva l’aumento dei centri dai quattro già esistenti a venti, uno per ogni regione, per un totale di 1.600 posti. Anche allora la proposta sollevò un polverone tanto che Minniti fu costretto a precisare che i nuovi centri sarebbero stati piccoli con una capienza massima di cento persone, che sarebbero sorti lontani dalle città e vicino agli aeroporti e soprattutto che sarebbero stati diversi dai Cie. Non a caso venne anche cambiato il nome che da Cie, Centri per l’identificazione e espulsione, divenne Cpr, Centri di permanenza per il rimpatrio. Insomma una misura che non sembra molto diversa da quella varata dal governo Meloni.
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Ecco perché le dichiarazioni di Orlando stridono e non poco, almeno per chi ha un minimo di memoria. «Gli amministratori di centrosinistra hanno detto sì all’accoglienza diffusa e no ai campi di concentramento» ha dichiarato l’ex ministro. Tutto vero, gran parte degli amministratori locali di centrosinistra, Lucano ne è stato un modello, hanno sempre adottato un approccio che prevedeva proprio l’accoglienza diffusa; ciò però non toglie che contestualmente nel 2017 il governo centrale varava un decreto per estendere il modello dei Cpr. Poi Orlando ha aggiunto: «Dietro questa specie di sindrome Nimby (Not in my back yard, ndr) applicata ai migranti, c’è di più e di peggio. C’è, in sostanza, il fuoco della propaganda xenofoba alimentato per anni dalla destra che brucia qualsiasi tentativo di definire un approccio ragionevole». Non si sa bene quale dovrebbe essere l’approccio ragionevole visto che quando Orlando si è trovato nella stanza dei bottoni propose la stessa soluzione al medesimo problema.
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Soluzione che, all’epoca del decreto Minniti-Orlando, molti giuristi definirono non in linea con la costituzione italiana e con la Convenzione europea sui diritti dell’uomo. In particolare avrebbe violato l’articolo 111 della Costituzione, quello che sancisce il diritto a un giusto processo, l’articolo 24, il diritto alla difesa, e l’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti umani, che sancisce il diritto al contraddittorio. Arrivarono critiche anche dall’Anm, l’associazione nazionale magistrati, che espresse un «fermo e allarmato dissenso» rispetto alla nuova legge perché produceva «l’effetto di una tendenziale esclusione del contatto diretto tra il ricorrente e il giudice nell’intero arco del giudizio di impugnazione delle decisioni adottate dalle Commissioni territoriali in materia di riconoscimento della protezione internazionale». Insomma stare all’opposizione è semplice, lo sa Meloni e lo sa Orlando, anche perché questo Paese ha la memoria corta, troppo corta.
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