Pd ibrido politico, il partito di Schlein in fuga dalla realtà
Per molti osservatori la figuraccia della Schlein a Otto e mezzo (una trasmissione «amica», con Lilli Gruber che dietro a un sorrisino tanto perfido quanto garbato le ha detto: «ma chi la capisce se parla così?») potrebbe diventare il suo (pessimo) canto del cigno, nel senso che lo sconcerto provocato nel partito da questa performance alla meno avrebbe già messo in moto il casting per trovare un successore, ancora prima delle elezioni europee. Ipotesi ovviamente dell'irrealtà: che Elly fosse questa, cioè un mix tra eterea leggerezza politica e ruvido approccio ai temi identificativi della sua fazione armocromatica era noto anche ai generali che, vedovi delle divise di governo, avevano deciso di puntare sull'effetto-novità per restare a galla, e ora che le hanno consegnato in mano il Pd sarà difficile strapparglielo, visto che lei ha più volte ribadito: hic manebimus optime.
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Certo, nessun bookmaker accetterebbe scommesse sulla sua permanenza alla guida del Nazareno fino a termine mandato, ma per l'eventuale ribaltone interno bisognerà quanto meno aspettare, appunto, il presumibile bagno di sangue delle europee, solo per una questione di decenza politica. Anche se l'area del disagio, diciamo così, si va allargando, nella convinzione che la segretaria sia vittima della sua «straordinaria inesperienza», ma anche di un'arroganza snob difficilmente compatibile con la guida di un grande partito. Ma siamo sicuri che il problema del Pd sia davvero Elly Schlein? O che la sua apparizione aliena sia solo l'ultimo atto di un pasticcio politico degradato in farsa? Il Partito democratico, entità compromissoria erede del cattocomunismo, non è in effetti mai stato né carne né pesce, tanto che per farlo entrare nel loro gruppo i socialisti europei hanno dovuto perfino cambiare nome.
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Bettino Craxi – ho iniziato a rileggere i suoi scritti, ed è un consiglio che do a tutti – diceva, con il suo gusto per l'iperbole scherzosa, che «il socialismo nessuno ha mai capito bene che cosa sia», e c'era un fondo di verità in quella frase, perché mentre in quasi tutti i grandi Paesi d'Occidente, nel secondo dopoguerra, si è sviluppata una politica bipolare che mette a confronto un'anima socialdemocratica e una moderata, questo in Italia non è mai successo per colpa di una sinistra che anziché evolvere e crescere come accadeva nel resto d'Europa, ha continuato ad avvitarsi negli stessi errori, a crogiolarsi nelle stesse aberrazioni ideologiche, a non fare i conti con la propria storia. Fino, appunto, ad aprire il Pd, un ibrido politico più ministeriale che riformista, e chissà come lo avrebbe definito Craxi. Non a caso i craxiani autentici, alla fine della prima Repubblica, si rifugiarono nella casa dei moderati, come componente sociale che ha arricchito il pensiero liberale e si è trovata in perfetta comunanza con la sensibilità cattolica.
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Il fatto è che la cultura di sinistra ha sempre considerato il popolo come un gregge bisognoso della sua guida illuminata e pronto a seguire senza fiatare contrordini e giravolte dietro la martellante propaganda, gli slogan e la demonizzazione degli avversari. Ma l'ideologia non ha più la presa di un tempo, e questa volta il popolo dei gazebo ha scelto una carta a sorpresa nel tumulto euforico dei gazebo, molto simile a un' studentessa assembleasca: una papessa straniera e radicale tanto proterva con gli oppositori interni quanto disarmata di fronte a una Lilli Gruber. E con Elly ora il Pd sembra definitivamente un partito in fuga dalla realtà, si parli di migranti o di jobs-act, un esercito sbandato dai generali confusi, col governatore De Luca che dalla Campania spara ogni giorno bordate terribili sul quartier generale. Ma questo destino la nomenklatura democratica se lo è costruito da solo, illudendosi che bastasse mettersi all'occhiello il fiore del riformismo dopo aver sbarazzato per via giudiziaria dell'unico autentico riformismo, quello del Psi craxiano. Per ora è tutto, in attesa della prossima puntata, di sicuro imminente.