“La versione di Giorgia”, Meloni a Sallusti: così fermeremo l'immigrazione illegale
Pubblichiamo un estratto dal capitolo «Conservare chi siamo» de «La versione di Giorgia», il libro-intervista di Alessandro Sallusti a Giorgia Meloni.
La guerra delle parole la sinistra l’ha vinta spesso sul tema dell’immigrazione, o no?
«Probabilmente sì, ma poi le parole sono state travolte dai fatti e certi concetti non sono passati più. Prendi la tragedia di Cutro. Hanno tentato di utilizzarla contro il governo ma anche chi ha la memoria di un facocero (il facocero è un animale che non ha memoria: è famoso per scappare quando vede un predatore e poi fermarsi perché non ricorda la ragione per la quale scappava, mi spiega) ricorda che analoghe tragedie nel Mediterraneo centrale le abbiamo avute con governi di qualsiasi colore, e quasi sempre con all’interno il colore rosso della sinistra, per un totale - secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni - di oltre ventiseimila morti o dispersi in dieci anni, e allora ci si rende conto di quanto immorali e vigliacche siano le accuse, politiche e personali, che io e il governo abbiamo ricevuto dopo quella disgrazia. Il punto è che possiamo continuare ad accapigliarci quanto vogliamo, ma se non capiamo che l’unico modo per fermare le morti è fermare la tratta, le persone continueranno a morire. E possono continuare con la loro ipocrisia da operetta, ma chiunque abbia un minimo di onestà non può credere davvero che se io mi trovassi sul luogo di una tragedia starei con le mani in mano, che nel caso di un naufragio se fossi lì non sarei la prima a buttarmi in acqua per provare a salvare un bambino indipendentemente da chi sia e da dove venga. Qualcuno pensa davvero, in cuor suo, che il governo possa aver dato indicazioni di non salvare quei migranti, e che servitori dello Stato che ogni giorno rischiano la propria vita per metterne in sicurezza altre avrebbero seguito un’indicazione così mostruosa? Ovviamente no. E, come ho detto in Parlamento, questa gente non si rende conto di come per attaccare il governo finisce per mettere in cattiva luce la nazione nel suo complesso, gettando ombre su chi invece continua a fare del suo meglio, spesso nell’indifferenza di tutti gli altri, per mettere in salvo le persone. Detto questo, pensare che possa andare avanti così con i flussi che si moltiplicano è, quello sì, un modo di mettere a repentaglio la vita dei migranti, perché piaccia o no ci sarà sempre qualcosa che può andare storto, una segnalazione che non arriva, naufraghi che non riesci a raggiungere. L’unico modo è fermare la tratta, combattere l’immigrazione illegale e gestire i flussi di quella legale, in sicurezza. Così da poter anche garantire a chi arriva la vita dignitosa che sperava di avere».
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Facile a dirsi.
«Già, è una impresa pazzesca perché siamo in una congiuntura complessa come mai in passato, con la guerra che produce i suoi disastri ovunque e aggrava anche la crisi alimentare in Africa, la Libia ancora divisa e la Tunisia che rischia il collasso, i mercenari della Wagner che destabilizzano il Sahel e il fondamentalismo che guadagna terreno. E in mezzo a tutto questo dobbiamo fare i conti anche con un approccio ideologico paralizzante in luogo di un approccio pragmatico. La famosa teoria del «tutti dentro» a prescindere dai modi, dai criteri e dalle necessità. Ma non è la mia, per come la vedo io la questione si gestisce in un modo completamente diverso. Sei un profugo che necessita di protezione? Dobbiamo trovare il modo di metterti in salvo. Non sei profugo e vuoi venire a lavorare in Europa? Puoi essere il benvenuto ma compatibilmente con la possibilità reale di incrociare la tua aspirazione con le nostre possibilità e necessità, altrimenti è il caos sociale oltre che il degrado umano. Non mi sembra una teoria razzista ma l’esatto opposto».
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Le famose quote.
«Esatto, ci vorrà del tempo ma ci arriveremo. Perché guarda, sia chiaro che so bene che su questo il lavoro del governo sembra non dare frutti, che alcuni di quelli che ci hanno sostenuto cominciano a dubitare della nostra serietà sulla questione. Ma io preferisco pagare uno scotto ora per costruire soluzioni strutturali, piuttosto che fare provvedimenti propagandistici che però non risolvono. Per affrontare la questione in modo risolutivo bisogna lavorare soprattutto a livello internazionale, e Dio sa se non mi ci sto dedicando ogni giorno. Sento spesso dire, dall’opposizione e non solo, «dovevate fare il blocco navale e poi si è visto che era impossibile come dicevamo noi». Messaggio facile da veicolare, ma inesatto. Certo che si può fare ed è quello a cui lavoro. Io ho sempre parlato di una missione europea in accordo con le autorità del Nord Africa per fermare le partenze, aprire in Africa gli hotspot, distinguere rifugiati da migranti economici, distribuire i rifugiati nei ventisette Paesi dell’Unione. E per i migranti economici, rispondere con la formazione, gli investimenti, per mettere l’Africa in condizione di prosperare grazie alle sue immense ricchezze. Mi ritrovo molto nelle parole di papa Francesco, che nel messaggio per la 109a Giornata mondiale del migrante e rifugiato ha detto che «è necessario compiere uno sforzo congiunto dei singoli Paesi e della Comunità internazionale per assicurare a tutti il diritto a non dover emigrare, ossia la possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra». Quando discuto con l’Europa di «cooperazione con i Paesi di origine e transito» o di «dimensione esterna», quando lavoro al «Piano Mattei per l’Africa», quando porto investimenti in Libia, Algeria o Etiopia, quando cerco di convincere la comunità internazionale a sbloccare le risorse per la Tunisia e intanto lavoro con l’UE per un nuovo partenariato come quello che abbiamo firmato, cosa pensi che stia facendo? Esattamente questo. È un lavoro faticosissimo e che necessita di tempo, ma alla lunga sono ottimista sulla possibilità di riuscire nel mio intento. Prima che finisca questa avventura, avremo messo un freno al problema dell’immigrazione illegale di massa».
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