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È corsa a uscire dal Pd. E Schlein irride i fuoriusciti: “Sbagliavano a stare qui”

Gaetano Mineo
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Nerone suonava la lira dal punto più alto del Palatino, mentre Roma veniva devastata dalle fiamme. Non sappiamo se questa locuzione sia leggenda o verità. Sappiamo invece che dal pulpito più alto del Nazareno, Elly Schlein, continua a predicare il suo verbo, tirando dritto, in barba a un Partito democratico che continua a perdere pezzi. L’ultima fuoriuscita: trentuno esponenti Dem liguri hanno lasciato il partito, approdando in Azione. Una fuga dal Nazareno bollata senza filtri dalla stessa Schlein come «forse l’indirizzo l’avevano sbagliato prima». Come dire, fisiologiche resistenze al cambiamento che non generano nessuna preoccupazione alla segretaria. Anzi, ospite della Festa del Fatto Quotidiano, Schlein rilancia parlando di «un partito vitale, tutt’altro che morto». E se i fuoriusciti lamentano la nascita di «un nuovo partito con una netta svolta a sinistra, in cui viene sostanzialmente negato il processo articolato e faticoso, anche contraddittorio, del riformismo messo in campo negli ultimi dieci anni», Schlein risponde, sorridente: «Quando qualcuno decide di andare viva è sempre un dispiacere, dopodiché se noi ci rendiamo conto che qualcuno che possa non sentirsi a casa in un Pd che si batte per il salario minimo, per la scuola, per l’ambiente, per i diritti, per il lavoro di qualità, allora forse l’indirizzo era sbagliato prima».

 

 

I numeri della storia del Pd sono implacabili: in 16 anni di vita ha perso oltre 6 milioni di voti, cambiato 10 segretari, sono scoppiate almeno 5 scissioni e la fuoriuscita di esponenti ha formato negli anni almeno 5 partiti o movimenti politici. Stefano Bonaccini, voluto presidente del Pd proprio da Schlein, stigmatizzala scelta di lasciare il partito, ma mette anche in guardia - e in tal modo sembra lanciare una nuova accusa - la segretaria e lo stato maggiore Dem dalla tentazione massimalista che condannerebbe il Pd ad essere ininfluente. «Sbaglia chi lascia il partito, ma si torni subito a una vocazione maggioritaria – puntella il governatore dell’Emilia Romagna -. Un Pd piccolo e radicale non serve». E «credo che Elly sia la prima a doversi e volersi fare carico di questo». Stupore. Sconcerto. Irritazione. L’area riformista è in subbuglio. Anche le chat ribollono. «Delle due, l’una: o Schlein non ha capito che sta succedendo nel partito, nei territori oppure ci vuole buttare fuori», dice un dirigente della minoranza all’Adnkronos.

 

 

E proprio tra i dirigenti della minoranza, si fa sentire in chiaro Piero Fassino: «Voglio sperare che le parole di Elly Schlein siano andate al di là dei suoi reali convincimenti. Non posso pensare che di fronte alla fuoriuscita di dirigenti e militanti in sofferenza, l’unica risposta della segretaria del partito sia che avevano sbagliato a scegliere il Pd. Ci si rallegra di chi arriva, non di chi parte». Glaciale Lorenzo Guerini, deputato Pd: «Forse è il caso di interrogarci tutti, a partire da chi ha le più alte responsabilità nel partito, di fronte a queste e altre uscite. Al netto delle motivazioni personali, c'è un disagio che sarebbe sbagliato ignorare». Lo stesso Pierluigi Bersani (e non solo), che non è certo un critico di Schlein, invita Elly a «darsi una mossa». Già a poche ore dall’affermazione alle primarie, Schlein è stata chiamata a registrare i primi smottamenti all’interno del partito. A cominciare dalla componente centrista, che non si riconosce nel suo programma. Da qui i primi addii. A partire da quello dell’ex ministro dell’Istruzione nel governo Prodi II, Beppe Fioroni («un Pd distinto e distante da quello che avevamo fondato»). Poi è stata la volta dell’ex senatore Dem Andrea Marcucci. Mossa replicata dal senatore Enrico Borghi, che ha scelto di aderire a Italia Viva. Di certo però c'è che, sia verso un rafforzamento del campo-largo o un patto di non belligeranza con i riformisti, un cambio di passo sembra atteso. Staremo a vedere.

 

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