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Boom di stranieri in carcere, Delmastro: "Andranno in cella a casa loro"

Edoardo Romagnoli
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In Italia i penitenziari soffrono di un tasso di sovraffollamento del 119%. Su 51.249 posti disponibili i detenuti sono 56.674 quindi ci sono 5.500 detenuti in più rispetto alla capienza. Il Tempo ha sentito il sottosegretario al Ministero della Giustizia Andrea Delmastro per capire come il governo sta cercando di affrontare il problema.
Sottosegretario Delmastro che soluzioni pensate di adottare per risolvere il problema del sovraffollamento dei penitenziari?
«La sinistra propone sempre lo svuotacarceri, che non funziona perché in genere chi viene liberato poi torna in carcere, mediamente, dopo 6 mesi. Noi stiamo lavorando a un piano di edilizia carceraria da 84 milioni di euro per la costruzione di 8 nuovi padiglioni e la ristrutturazione di celle, già esistenti, ma inagibili».
Circa un terzo dei detenuti è straniero. C’è la possibilità di riuscire, nell’ambito del Piano Mattei, di inserire anche degli accordi per far scontare la pena nel Paesi di origine in modo da alleggerire il peso nei nostri penitenziari?
«Sui 51.249 detenuti 17.987 sono stranieri e costano, come tutti gli altri, 137 euro al giorno che all’anno fanno 899 milioni 439 mila e 935 euro. Per questo stiamo lavorando a un progetto, collegato al Piano Mattei, che prevede di siglare accordi con i Paesi d’origine in modo che chi è stato condannato in Italia possa scontare la pena nei penitenziari dei loro Paesi. Nell’ambito di questo accordo cercheremo di superare la volontà del detenuto».
Sì perché oggi per trasferire un detenuto al di fuori dell’area Ue è necessaria anche la volontà del detenuto che può rifiutarsi di scontare la pena nel Paese di origine.

 


Come pensate di “convincere” i Paesi d’origine ad accettare il rientro dei loro connazionali condannati in Italia?
«Attraverso un meccanismo di premialità. L’Italia garantirebbe un sostegno per la formazione di lavoratori in loco garantendo anche un maggior numero di ingressi di lavoratori qualificati regolari (extraflussi) in cambio i Paesi africani dovrebbero accettare il rientro dei loro connazionali detenuti negli istituti penitenziari italiani».
Accordi simili già esistono per Albania e Romania. Ogni intesa sarebbe subordinata alla garanzia di una serie di requisiti e sul trattamento dei detenuti.
I penitenziari soffrono di un sovraffollamento e, contestualmente, di un carenza di personale. Anche su questo state lavorando?
«Stiamo lavorando anche su questo. Intanto procedono le assunzioni dei funzionari giuridico pedagogici, gli educatori che accompagnano i detenuti nel percorso di reinserimento sociale; questo per quanto riguarda il versante trattamentale. Sul lato sicurezza ad agosto sono già entrati in servizio 1.479 uomini del 181° corso di formazione per agenti di polizia penitenziaria. Altri 300 verranno assunti tramite lo scorrimento in graduatoria. Non solo sono stati finanziati altri due corsi di formazione: il primo da 1.713 alunni e il secondo da 1.758. Non è un lavoro facile perché veniamo da anni di disinvestimenti, flagellati dalla legge Madia».

 


E per i detenuti tossicodipendenti?
«Sono un terzo della popolazione carceraria. Dobbiamo intervenire anche su questo perché abbiamo constatato come per questa tipologia di detenuto non bastano i corsi di formazione. Solo per fare un esempio: entri in galera per un reato legato alla tua tossicodipendenza, io ti inserisco in un percorso di formazione lavorativa insegnandoti, magari, a fare il ceramista. Tu puoi uscire dal carcere che sei un ottimo ceramista ma se sei ancora tossicodipendente non abbiamo risolto nulla. Se invece riusciamo, già dal giudice di primo grado, a farti scontare la pena in una casa di cura del terzo settore magari esci disintossicato abbassando in questo modo la possibilità di recidiva».

 

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