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Il Pd alza il muro per difendersi dal Renzi picconatore

Gianni Di Capua
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Tenere la barra dritta sul salario minimo, senza cedere alle provocazioni di chi vuole «aprire delle crepe» nel fronte dell’opposizione. Questa la linea che si è data la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, e con lei tutto lo stato maggiore dem. Il riferimento è al tentativo di Matteo Renzi di aprire un fronte con i dem sul salario minimo. Il leader di Italia Viva accusa gli ex compagni di partito di voler promuovere un referendum abrogativo sul Jobs Act dopo aver proposto e votato la legge ai tempi in cui lo stesso Renzi era segretario. E per dare peso al dibattito, Renzi sfida apertamente Elly Schlein: «Mi inviti alla festa dell’Unità, a Ravenna. Oppure venga lei a discuterne alla festa di Italia Viva». I dem, tuttavia, non sembrano voler raccogliere la sfida. La responsabile Lavoro della segreteria nazionale spiega anzi che, al momento, non c’è alcun quesito referendario. Anche perché, viene aggiunto, «il Jobs Act era formulato come legge delega è ne sono seguiti diversi decreti attuativi. Per promuovere un referendum servirebbe un quesito su punti precisi», spiega Maria Cecilia Guerra. Ciò non significa che il Jobs Act sia ormai acquisito per la segreteria Schlein. «La linea è quella spiegata nel programma elettorale», viene aggiunto. Ovvero: superamento della legge per contrastare il lavoro povero e precario.

 

 

E qui si torna al salario minimo, bandiera che il Partito Democratico intende mantenere alta: «È una iniziativa su cui continueremo a insistere», dice la segretaria al Forum Ambrosetti di Cernobbio, appuntamento estivo dei "capitani" delle aziende più importanti d’Italia. E proprio al tessuto delle imprese Schlein si rivolge per dire che «il salario minimo, dove è stato adottato, ha aiutato a vincere la concorrenza sleale di quelle imprese che non rispettavano le regole della contrattazione a discapito delle imprese che lo facevano». Un appello che arriva ad orecchie attente e sensibili. D’altra parte, lo stesso presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha avuto modo di spiegare all’inizio di luglio che «non sono certe le nostre aziende a pagare i lavoratori sotto la soglia dei nove euro».

 

 

Oggi il tema è considerato tutt’altro che un tabù dagli imprenditori che si sono dati appuntamento sul Lago di Como. A spiegarne la ragione è Maria Cecilia Guerra: «Io credo che ci siano ragioni perché le imprese guardino con favore a questa proposta che ha, fra i suoi elementi, quello della lotta alla contrattazione pirata: una pratica che sconfessale associazioni datoriali. Per mezzo della contrattazione pirata, infatti, una impresa può fare contratti con sindacati fittizi così da strappare salari più bassi. E questo crea una concorrenza sleale contro quelle imprese che, al contrario, fanno contrattazione con i sindacati più rappresentativi. Si tratta di un dumping salariale che, oltre i lavoratori, colpisce le associazioni datoriali».

 

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