Governo, la sfida pugliese di Meloni per accogliere il G7
Caro direttore, tutte le strade portano a Roma ma non in Puglia. A giugno 2024, le grandi potenze mondiali si ritroveranno per il G7 proprio nella «terra degli ulivi». Un albero simbolo di pace e prosperità che, leggenda vuole, fu Minerva «dea della guerra giusta e della saggezza» a donarlo agli uomini. Ma anche un albero martoriato dalla xylella, emergenza solo da poco rientrata. I report dei servizi di intelligence, che hanno inviato in avanscoperta gli 007 nella Valle dei Trulli, lasciano aperti diversi interrogativi, rimbalzati anche sui tavoli della Farnesina e degli sherpa di Palazzo Chigi. I dubbi sono soprattutto sulle infrastrutture - con conseguenti difficoltà negli spostamenti da parte delle varie rappresentanze - e sui collegamenti sia fisici che tecnologici. L’assetto infrastrutturale e tecnologico in Puglia, infatti, è più o meno lo stesso di venti anni fa. E proprio in quell’epoca due galantuomini come Alfredo Mantovano e Giovanni Pellegrino segnalavano il gap infrastrutturale tra Nord e Sud ma da allora poco è cambiato. Ora l’Esecutivo ha davanti a sé nove mesi per evitare che i leader della terra arrivino sul suolo pugliese per essere rinchiusi, a quanto pare, nel resort extra lusso di Borgo Egnazia: una piccola «Las Vegas» in formato masseria più avvezza ad ospitare star come Madonna e i Beckham piuttosto che capi di Stato con imponenti delegazioni al seguito.
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È quello che molti rimproverano ingiustamente a Giorgia Meloni la quale, durante la sua permanenza agostana nella Valle d’Itria, non è quasi mai uscita dalla tenuta, impegnata tra bagni nella piscina, interminabili partite a burraco e una benedizione matrimoniale. La breve «toccata e fuga» in Albania pare sia legata, ma è un’ipotesi tutta da verificare, ad una centrale nucleare che il Paese delle aquile starebbe immaginando proprio di fronte alle coste pugliesi, dove approderebbe il relativo elettrodotto, che verrebbe ovviamente realizzato da Terna, dove governa l’ad Giuseppina Di Foggia, voluta last minute da Meloni. Va detto, peraltro, che mezzo Governo, a partire da Tajani, non ha avuto bisogno dei report dell’intelligence straniera per constatare i limiti infrastrutturali del sud della Puglia. Insieme, tra gli altri, a Calderone, Sisto e Durigon, sono stati ospiti a «La Piazza», l’annuale appuntamento politico di Affaritaliani a Ceglie Messapica. Ed è proprio dalla kermesse, grazie alle domande con cui ha pungolato i suoi ospiti il direttore Angelo Maria Perrino, è emersa qualche insofferenza della maggioranza. Soprattutto una domanda circolava nella platea di Affaritaliani: «I due più potenti rappresentanti del governo, il sottosegretario Alfredo Mantovano e il ministro Raffaele Fitto, salentini doc, si stanno attrezzando con un piano d’azione?». Dai sussurri dei politici locali trapela sconforto: infatti, pare che «l’armistizio» tra i due fedelissimi della Premier, sancito lo scorso ottobre in nome della ragion di Stato, si stia affievolendo con l’onnisciente Fazzolari che soffia sul fuoco. Toccherà, quindi, per l’ennesima volta a Giorgia alzare la voce e ricordare che col G7 non si scherza, visti anche i «sopralluoghi» effettuati con famiglie al seguito dai membri delle più importanti cancellerie internazionali. I risultati sono contrastanti: mentre i diplomatici operavano nella loro protetta comfort zone, in un contesto di fatto privilegiato, il resto dei congiunti invece toccava con mano le difficoltà quotidiane della gente pugliese, dalle carenze della rete viaria e dei trasporti, compresi gli aeroporti, fino alle connessioni internet carenti.
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A luglio di quest’anno la Premier ha dichiarato che «lo sviluppo dell’economia nel Mezzogiorno è una priorità del nostro Governo». Tuttavia le parole sbattono contro la realtà di un Pnrr che si è dimenticato della decarbonizzazione e del rilancio delle acciaierie di Taranto, in simmetria con la centrale Enel a carbone di Cerano dove da decenni si inquinano di residui i territori circostanti, tanto da esserne proibita la coltivazione. Intanto oggi i voli aerei tra la Puglia e le principali città italiane costano quasi quanto quelli da un Continente all’altro. Giunti all’aeroporto di Brindisi, il più vicino ai luoghi individuati dal Governo per il vertice mondiale, non ci sono servizi pubblici che consentano, a chi arriva, di raggiungere le più note località vicine. Perfino un giustiziere come Pier Camillo Davigo è rimasto a terra con Ita da Brindisi. Per non parlare dell’alta velocità fino a Lecce, della quale si parla da decenni, tanto da diventare oramai una triste barzelletta alla stregua della Salerno-Reggio Calabria. Anzi, proprio il magliese Fitto, nel rimodulare il Pnrr, ha ridotto di 1,3 miliardi i fondi destinati a velocizzare i treni verso la sua terra. Gli operatori turistici sono disperati e come da tradizione è già partito, come un refrain, il «Puglia shaming»: «quest’estate il crollo è stato forte. I voli da Milano per Zante, in Grecia, te li tiravano dietro a quaranta euro a tratta mentre quelli per Brindisi o Bari più di seicento euro solo andata». La vera compagnia di bandiera, il che è tutto dire, è stata Ryanair che ha mantenuto qualche offerta attiva fino a quando il Ceo Eddie Wilson non ha litigato con il ministro Adolfo Urso per il decreto «blocca prezzi». Tra l’altro, quelle norme intervengono solo sui voli per la Sicilia, la Sardegna e altre isole minori.
Nonostante tutto, oltre alla tenace verve imprenditoriale dei pugliesi, si registrano lodevoli iniziative come DigithON, giunta alla sua 8° edizione, la più importante maratona digitale italiana organizzata dal dem Francesco Boccia, che proietta molte startup, non solo pugliesi, che andranno a costruire un eco-sistema digitale italiano con l’obiettivo di non essere dipendenti da quelli di Stati Uniti e Cina. Chissà se Giorgia, quando canticchiava «strada facendo», non immaginasse che un giorno le strade avrebbe proprio dovuto costruirle. Sperando che almeno lei ci riesca. La vita è piena di sorprese.
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