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L'estate "gufante" della sinistra smentita dalla realtà dei dati

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Cicisbeo
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Il gufismo è ormai il primo sport nazionale e ha un commissario tecnico – il Pd – che non ha alcuna intenzione di dimettersi, con una stampa che gli tiene bordone senza mai coltivare il dono del dubbio. Gufare significa augurare il male agli altri, nella speranza che la profezia si autoavveri, anche se questo significasse il tracollo del Paese. Un anno fa, quando dopo undici anni la Bce varò il primo aumento del costo del denaro, i gufi in servizio permanente effettivo giurarono che l’economia italiana, minata dalla crisi del gas e dal macigno del debito pubblico, non avrebbe retto a un simile impatto. Invece lo spread è sceso sotto 160 punti, ma i professionisti del cataclisma non si arrendono, e dicono che per ora lo spread tiene, ma che i conti d’autunno incombono sul governo, e quindi il disastro sarà inevitabile. Poi ci sono altre emergenze che congiurano contro l’Italia e contro l’ottimismo del governo: la crisi immobiliare cinese, il rialzo dei rendimenti obbligazionari globali, puro veleno per le economie maggiormente indebitate come quella italiana, i tassi che resteranno elevati a lungo, oltre alla materializzazione del debito del superbonus. Le lancette della fine del mondo (pardòn, del governo) sono dunque state spostate all’autunno, quando i tassi resteranno alti, lo Stato dovrà spendere di più a causa dell’inflazione e il centrodestra finirà risucchiato dalle promesse elettorali che non potrà mantenere.

 

Vogliamo poi parlare del Pnrr? Non siamo in grado di mettere a frutto queste risorse e non sappiamo fare le riforme necessarie «con un doppio effetto negativo – scrive il Corriere Economia - non riorganizziamo il Paese e rischiamo di perdere i soldi comunitari». Per cui c’è il rischio, anzi la certezza, di rallentare la crescita, e sarà inutile prendersela con la Bce o con la frenata dell’economia tedesca. Un quadro non scoraggiante, insomma: di più, e non ci aspetta un autunno caldo, ma incandescente. Da qui il sobrio titolo apparso ieri su «La Stampa»: «La corona di spine che indosserà Meloni al rientro», dalla contrarietà (non vincolante) della Bce alla tassa sugli extraprofitti bancari, ai rincari dei prezzi trascinati dal costo dei carburanti (a questo proposito, sarò un ragazzo fortunato, ma in questi giorni ho fatto il pieno a 1,8 euro il litro...), al rompicapo del Mes al Def che andrà concordato in sede europea. Senza dimenticare la grana del salario minimo e l’attesa rivolta sociale, di cui però non si scorgono tracce, per la riforma del reddito di cittadinanza.

 

Questa è la situazione che i pochi italiani che sfogliano ancora i cosiddetti grandi giornali (fra i tanti che sono a godersi la villeggiatura) hanno la sfortuna di leggere ogni giorno, col rischio di rovinarsi le vacanze. Ma sarà davvero così? O siamo davanti a una realtà virtuale esasperata da una “vis polemica” figlia del risentimento contro la destra che ha vinto le elezioni? Mettiamo in fila alcuni dati recenti diramati da osservatori assolutamente neutrali: Fitch Ratings ha abbassato le sue proiezioni a medio termine sul Pil potenziale per le dieci economie più sviluppate con due sole eccezioni: l’Italia e la Francia. Per il nostro Paese Fitch ha valutato un trend positivo tale da alzare, in controtendenza, le stime. Ma ieri è uscito un dato che ha del clamoroso, elaborato dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre secondo cui il Sud Italia, da sempre fra le cenerentole d’Europa, crescerà quattro volte più di Francia e Germania messe assieme: +1% contro il +0,8 della Francia e il -0,3 di una Germania ormai in recessione conclamata. Non illudiamoci: le criticità che da sempre affliggono il Mezzogiorno sono ancora in attesa di una soluzione, con un tasso di disoccupazione molto elevato come il livello di povertà e col deficit infrastrutturale che resta un ostacolo allo sviluppo, ma i segnali in grado di dar corpo a una svolta ci sono e potrebbero consolidarsi se nei prossimi tre anni riusciremo a spendere bene tutte le risorse che il Pnrr ha destinato al Sud.

Questo è il vero banco di prova su cui dovrà essere misurato il governo, che intanto entro l’anno si è assicurato l’arrivo dei 35 miliardi della terza e quarta rata. L’Italia ha problemi strutturali che si trascina da decenni, non è certo una novità, ma il governo Meloni ha dimostrato un pragmatismo molto apprezzato anche dai circoli internazionali che avevano mille pregiudizi sulla premier. La cifra del realismo dovrà essere la bussola da non smarrire, ma questo non giustifica il catastrofismo sparso a piene mani dalle sinistre sparse. Altro che estate militante: quella del Pd è un’estate gufante che alla fine gli si ritorcerà contro. 

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