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L'Europa non ci chiede il salario minimo: smentita un'altra bufala della sinistra

Dario Martini
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«Ce lo chiede l’Europa» è una delle frasi preferite dal Pd e dal M5S per legittimare le proprie battaglie. Riguardo al salario minimo Elly Schlein è arrivata a sostenere che «questo governo ci isola dall’Europa». Il refrain delle opposizioni è il seguente: l’Italia è uno dei pochi Paesi dell’Unione a non aver adottato la paga minima fissata per legge, allontanandosi in questo modo dalle indicazioni che arrivano da Bruxelles. La domanda sorge spontanea: le cose stanno davvero così? Per dare una risposta è opportuno andare a leggere cosa dice la Commissione nei suoi documenti ufficiali. In particolare è d’aiuto la direttiva sui salari minimi adottata a settembre scorso dal governo comunitario. Al suo interno sono contenute le raccomandazioni rivolte agli Stati membri. Ed è qui che scopriamo una realtà abbastanza diversa da quella raccontata dalla sinistra: la Ue lascia libertà ai vari Paesi di garantire ai propri cittadini salari dignitosi, ma al tempo stesso li esorta a puntare sulla contrattazione collettiva, strumento più idoneo a centrare l’obiettivo.

 

Inoltre, nessuna disposizione della direttiva può essere interpretata in modo tale da imporre a qualsiasi Stato membro l’obbligo di introdurre un salario minimo legale, soprattutto in quei campi dove la formazione degli importi sia garantita esclusivamente mediante contratti collettivi o l’obbligo di dichiarare un contratto collettivo universalmente applicabile.

 

Oggi in Europa su 27 Stati membri sono 22 ad avere adottato un salario minimo legale. L’Italia non lo ha fatto, così come Svezia, Danimarca, Austria e Finlandia. Non lo ha fatto perché ha uno dei livelli più alti (oltre l’80%) di copertura della contrattazione collettiva. Questo concetto viene ribadito più volte: la contrattazione collettiva è il mezzo principale attraverso cui far crescere i salari più bassi. Si ripete più volte: è necessaria la «promozione» della contrattazione collettiva o delle «parti sociali» (art. 1 e 4). Si prevede anche la promozione delle «capacità» delle parti sociali e pure che vengano «incoraggiate».

 

A finire nel mirino della Commissione, inoltre, sono proprio quegli Stati che hanno fissato un salario minimo per legge ma che lo hanno fatto garantendo importi non adeguati. Viene chiesto a questi Stati di istituire un quadro per fissare e aggiornare tali salari minimi secondo una serie di criteri chiari. Inoltre, andranno aggiornati almeno ogni due anni. Poi, si ricorda anche come nei Paesi con un’alta copertura della contrattazione collettiva, la percentuale di lavoratori a basso salario è minore e le retribuzioni minime sono più elevate rispetto ai paesi in cui tale copertura è più bassa. Questo è il proprio il caso dell’Italia. Alla luce di tutto ciò, è anche più chiaro il motivo per cui il governo, con il presidente del Consiglio in primis, nutra seri dubbi sull’opportunità di introdurre un salario minimo rigido, pari a 9 euro lordi, nel nostro Paese. Ciò non significa che non ci sia un problema di lavoro povero, motivo per cui l’esecutivo ha dato mandato al Cnel di formulare una nuova proposta che sarà discussa con le opposizioni dopo la pausa estiva. 

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