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Grillo e l'ossessione sinistra di tassare lusso e rendite

Pietro De Leo
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Fermi tutti! Beppe Grillo, noto per avere le soluzioni a tutti i mali del mondo tanto da aver regalato all’Italia la classe dirigente più qualificata per farlo, sfodera l’uovo di Colombo per ridurre i gas serra. Che abbia pronti zaino, tuta e soprattutto passamontagna per andare a bussare al palazzo del governo cinese, dato che il regime comunista è responsabile di circa il 27% delle emissioni? Giammai. Il fondatore del Movimento 5 Stelle suggerisce che «la chiave di svolta è così semplice, ovvero non acquistare, non avere, riutilizzare». Siamo sempre lì, su tesi affini alla decrescita felice, che ci riportano al Grillo prima maniera, quello che per esempio decantava le lodi di una improbabile “biowashball”, una sfera con pezzetti di ceramica che avrebbe, secondo lui, consentito di lavare i panni senza l'inquinante detersivo. Solo che, stavolta, Beppe si fa più insidioso. Perché la sua teoria, ovviamente basata su una ricerca realizzata «da un team di cinque scienziati delle università di Leeds e Losanna», sfocia in una proposta: «tassere i ricchi, o almeno i prodotti che usano». Ciò, infatti, «potrebbe portare significativi benefici per clima e giustizia sociale».

 

 

Spiega, Grillo: «i prodotti di lusso, come automobili di lusso, yacht, gioielli e abbigliamento di marca, rappresentano una parte significativa dell’impronta ecologica globale. La loro produzione richiede risorse naturali preziose, consuma energia e produce emissioni di gas serra». I ricercatori (di cui vi risparmiamo l’articolato ragionamento di cui Grillo fa disamina) «è la ricchezza che guida queste emissioni, non i bisogni umani fondamentali». E ancora: «a livello globale, il 10% più ricco degli individui è responsabile di quasi la metà delle emissioni di gas serra. Con il sistema di tassazione di beni di lusso che propongono i ricercatori, negli Stati Uniti, i viaggi aerei, l’acquisto di un’auto nuova e i viaggi organizzati verrebbero, ad esempio, tassati a più di 200 dollari per tonnellata di carbonio emessa, rispetto a meno di 100 dollari per il riscaldamento dell’elettricità». Tutto questo, però, «oscillerebbe ovviamente a seconda del paese e del costo della vita locale». Dunque «la ricerca mostra che tassare di più i beni di lusso non è solo socialmente equo, ma anche efficace. Secondo i calcoli, questa misura potrebbe ridurre le emissioni globali delle famiglie del 6% all’anno, evitando così l’emissione di 100 gigatonnellate di carbonio entro il 2050».

 

 

Dunque, siamo alle solite. La composizione di un canovaccio colpevolizzante a danno di chi consuma. Persino l’ «abbigliamento di marca». Hai una borsa di un brand blasonato? Sei un co-distruttore del pianeta. Nella tesi di Grillo c’è una forte venatura moralistica, trincerata dietro il retaggio della scienza. Quest’ultima, peraltro, non va tutta nella direzione dello studio di cui parla Grillo, basta leggere, per esempio, i libri di Paul Driessen, a riprova che il tema della tutela dell’ambiente è molto complesso e senza un’univoca chiave di lettura. Ma c’è anche una specie di riflesso condizionato, che si ravvisa nella convinzione che la gragnuola fiscale sia la soluzione a tutti i mali. Oltre all’individuazione del “lusso” come capro espiatorio per ogni stortura. Senza dimenticare di ammantare il tutto con il velo della “giustizia sociale”. Peraltro contraddetta. Se Grillo avesse possibilità di realizzare il suo intendimento del tassare di più e consumare di meno, lo ringrazierebbero gli operai che lavorano nei comparti coinvolti. Ma per fortuna non è così, e le fantasticherie dell’Elevato rimangono solo elucubrazioni germogliate in un’estate troppo calda.

 

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