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Vaticano, diplomazia in cerca d'autore: la politica estera è un flop

Luigi Bisignani
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Caro direttore, colendissimi Segretari di Stato vaticano del calibro di Casaroli, Antonelli e Cicognani si stanno rivoltando nella tomba increduli. Il clamoroso flop della missione del cardinale Matteo Maria Zuppi in Ucraina e Russia, infatti, è sulla bocca di tutte le cancellerie che contano e che si pongono la stessa domanda: «Chi dirige la politica estera in Vaticano?». Le risposte variano: «La guidano gli umori oscillanti della residenza papale di Santa Marta? O pezzi sconnessi della Segreteria di Stato? Oppure la Comunità di Sant’Egidio? O, forse, tutti insieme in lotta continua tra loro?» E la situazione è sempre più imbarazzante con il protrarsi della guerra. Del resto, il buongiorno si era visto dal mattino, quando Bergoglio, a pochi giorni dall’invasione, si recò come un carbonaro senza neppure avvertire il segretario di Stato Parolin, nella sede dell’Ambasciata russa in Via della Conciliazione. Oggi, a quasi un anno e mezzo dall’inizio della guerra in Ucraina, è lecito chiedersi: «Perché? Cosa gli avevano promesso? Chi? Come? Forse che avrebbe ricevuto una telefonata dallo zar Putin?» Un’attesa inutile ed umiliante per un gesto di così tanta misericordia. Dopo l’infruttuoso episodio, Bergoglio si è scagliato contro il patriarca Kirill definendolo «chierichetto di Stato», utilizzando un lessico più consono allo stadio San Lorenzo - la squadra argentina nel cuore di Francesco - che a Santa Romana Chiesa. Dunque è forse per assicurarsi la captatio benevolentiae russa che ha poi scelto il sant’egidino presidente della Cei Zuppi, scortato a Mosca dal vicepresidente della Comunità di Sant’Egidio Adriano Roccucci, per una missione che i russi, da par loro, hanno rispedito al mittente.

 

 

E a chi si riferiva il cardinale Parolin quando, in un’intervista al Tg1, affermava che «qualora le intenzioni umanitarie della Santa Sede fossero state recepite dalle due parti, il Vaticano si sarebbe associato ad altre organizzazioni umanitarie per portare a termine la missione?». Potrebbe essere quella che viene definita «l’Onu di Trastevere» di Andrea Riccardi che ormai è ovunque come il prezzemolo? Un altro fatto è certo: il Papa, la domenica del 9 luglio, quella successiva all’intervista del suo Segretario di Stato, ha annunciato un ennesimo concistoro, tralasciando, as usual, prelati italiani di prestigio come l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, scelta che ormai sembra avere come unico scopo quello di sparigliare le carte sulla sua successione. Ma non è finita qui, Francesco ha ancora tre assi nella manica da giocare: il primo, proprio quello del cardinale Parolin, il «mister Wolf vaticano» capace di porre ogni volta rimedio, con moderazione e diplomazia, al disordine istituzionale creato dal Papa e dai suoi «giuristi», come il gesuita Ghirlanda, autore dell’incongrua riforma della curia e del vicariato di Roma, tanto da essere soprannominato in Vaticano «Terminator». Il secondo asso corrisponde al nome dell’ungherese Peter Erdo, allievo di Gabrio Lombardi, giurista solido e molto stimato dalla classe politica del suo Paese a partire da Viktor Orbán, il quale, secondo molti «bergogliani di curia», se fosse lui a salire al soglio pontificio si farebbe chiamare Adolf. Il terzo è invece rappresentato, ancora una volta, dal Cardinal Matteo Zuppi, un bergogliano sincero ritenuto anche il miglior interprete di quella «opzione preferenziale per i poveri» di Francesco che è grande eredità del Concilio Vaticano II. La partita delle tre carte tuttavia terminerà il prossimo 30 settembre, quando nel concistoro entreranno in gioco almeno altri quattro nomi. Il primo è certamente l’argentino Victor Fernández, che con Papa Francesco ha avuto lo stesso ruolo di referente dottrinale che ebbe il cardinale Joseph Ratzinger per Giovanni Paolo II.

 

 

Attualmente Fernández a Buenos Aires è però al centro di mille chiacchiere: con il soprannome di Touch, infatti è considerato un grande «esperto di baci», tanto che uno dei suoi libri di maggior successo ha un titolo quantomeno opinabile «Guariscimi con la tua bocca». Spedito all’ex Sant’Uffizio, Bergoglio gli ha chiesto di archiviare, per tabulas, un passato segnato da «metodi immorali» e di perseguire «eventuali errori dottrinali». Con queste credenziali, Fernández viene visto come il successore dell’eredità ideologica di Bergoglio. Il secondo è l’italiano Claudio Gugerotti: grande esperienza diplomatica nell’Est Europa, conosce benissimo il contesto russo-ortodosso e certamente è la figura più capace per affrontare l’attuale scenario geopolitico dominato dagli strascichi della guerra in Ucraina. C’è poi il futuro Cardinale francese Christophe Pierre, nunzio apostolico in carica negli Usa, considerato molto «corazzato» per dare sostanza, con maggiore intelligenza dottrinale e diplomatica, alle tortuose e improvvisate vie dove questo pontificato ha condotto la Chiesa cattolica. Un altro «papabile» della lista è il patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa che ha rimesso in piedi la tormentata diocesi impoverita dai patriarchi Sabbah e Twal ed ha navigato abilmente nel conflitto israelo-palestinese, per lui dovrebbe essere una passeggiata sanare le tensioni di una Chiesa Cattolica divisa e fatta a pezzi.Last but not least, a sorpresa, questa potrebbe essere la volta del primo cardinale africano, Robert Sarah, per anni prefetto del culto divino dal quale fu rimosso senza alcun particolare riguardo al compimento del suo 75esimo compleanno. Un candidato che certo non piace a Bergoglio, tanto che in questi mesi ha fatto di tutto per mettere in un angolo due dei suoi principali aficionados, i porporati, Gerhard Müller e Raymond Burke; quest’ultimo recentemente rimosso, senza troppi convenevoli, dall’incarico di Patrono Emerito dell’Ordine di Malta e sostituito dal solito Gianfranco Ghirlanda. Insomma un Papa sempre vigile e sospettoso che non teme la stanchezza anche perché, come ha scritto in una lettera indirizzata a Eugenio Scalfari, nell’Aldilà c’è molto tempo per riposare. Lunga vita al Papa.

 

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