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Meloni spegne le polemiche: nessuno scontro con la magistratura

«Vogliamo fare la riforma con loro non contro» Su Delmastro: «Caso politico, impugnazione coattiva mi sorprende»

Edoardo Romagnoli
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«Nessuno scontro con la magistratura». Le questioni di politica interna rincorrono Giorgia Meloni anche a Vilnius, in Lituania, dove si stava svolgendo il vertice Nato. E così nonostante la questione Ucraina, la prosecuzione del mandato di Stoltenberg e le sfide del «fronte Sud» dell’Alleanza, la maggior parte della domanda in conferenza stampa sono su questioni interne. «Ho letto molte cose abbastanza curiose ma non c’è dal mio punto di vista alcun conflitto con la magistratura. Non c’è sicuramente da parte mia» e aggiunge «chi confida nel ritorno dello scontro tra politica e magistratura che abbiamo visto in altre epoche temo che rimarrà deluso».

 

Il riferimento è alla nota dell’Associazione nazionale magistrati che aveva definito «pesantissima» l’accusa arrivata da «fonti di Palazzo Chigi», che Meloni ieri ha rivendicato, sulle vicende giudiziarie della ministra Santanché e del sottosegretario alla Giustizia Delmastro. Nella nota dei magistrati si faceva anche riferimento alla riforma della Giustizia definendo le misure contenute nel testo come «punitive». Una interpretazione che Meloni ribalta completamente. «Non capisco perché si dica che le nostre posizioni sulla giustizia abbiano un intento punitivo verso la magistratura, non capisco. Rafforzare la terzietà del giudice è un modo per aggredire la magistratura? Non sono d’ accordo, così si garantisce la maggiore efficienza della magistratura». Il presidente del Consiglio ribadisce il «mandato popolare del suo esecutivo» e prova una riconciliazione «noi intendiamo mantenere gli impegni che abbiamo preso con gli italiani e non intendiamo farlo contro i magistrati. Anzi, speriamo di poterlo fare con il contributo dei magistrati».

Per il presidente del Consiglio è necessario riformare la giustizia per «renderla più efficiente» e per fare in modo che «appaia più imparziale». La questione giustizia si porta dietro anche i tre casi: Santanchè, Delmastro e La Russa junior. Sulla ministra del Turismo «la questione riguarda il suo ruolo di imprenditore, non di ministro. È sicuramente una questione molto complessa la cui anomalia sta nel fatto che al ministro non viene notificata l’indagine che viene resa nota da un quotidiano nel giorno in cui il ministro Santanchè ha riferito in Aula. Sul piano della procedura qualcosa non funziona». A chi le chiede se l’avviso di garanzia alla ministra potrebbe comportare le dimissioni risponde: «Un avviso di garanzia non rende automatiche le dimissioni di un ministro».

 

Diverso il caso del sottosegretario Delmastro. «È sicuramente una questione politica» perché «riguarda un esponente del governo nell’esercizio del suo mandato». Nei suoi confronti «viene disposta una imputazione coattiva contro il parere del pubblico ministero, tra l’altro di una procura non esattamente abituata, diciamo a fare sconti, per come la vedo io. Intanto ho chiesto quanti fossero i casi di imputazione coattiva nel nostro ordinamento, mi è stato risposto che sono diciamo irrilevanti sul piano statistico».
Anche qui Meloni spiega la nota di via Arenula, circolata nei giorni scorsi. «In un processo di parti, la terzietà del giudice significa che il giudice non dovrebbe sostituirsi al Pm imponendogli di formulare l’imputazione quando questi non intende esercitare l’azione penale». Su Leonardo Apache La Russa Meloni prima dice di «capire, da madre, il dolore di Ignazio La Russa» ma poi precisa «non sarei entrata nel merito». Ribadisce anche che il suo esecutivo «ha fatto tanto sul tema della violenza contro le donne» e più in generale spiega come tende «a solidarizzare per natura con una ragazza che denuncia e non mi pongo il problema dei tempi».

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