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Giustizia, l'Anm è allergica alle critiche: “Governo fazioso contro i magistrati”

Adriano Bonanni
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Puntuale, dopo le polemiche dei giorni scorsi sull’uso «distorto» delle comunicazioni giudiziarie nei confronti degli indagati, è arrivata la replica dell’Associazione nazionale magistrati. Ed è un attacco a testa bassa al governo, con il sindacato delle toghe che rimanda indietro l’accusa di aver provocato uno scontro con la maggioranza e boccia in toto la riforma della giustizia del ministro Nordio. Critiche durissime, come sempre accade ogni volta che la politica propone una riforma che riguarda le toghe. «Allergiche» a qualsiasi tipo di intervento che riguardi il loro potere. Così il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, parlando alla riunione del comitato direttivo centrale che si è svolto ieri a Roma, attacca a testa bassa: «Parlare di interferenze con la politica quando si esercita la giurisdizione e quando si esercita il diritto di associazione e di manifestazione del pensiero è un modo fuorviante che avvelena il clima e dà della magistratura un’immagine distorta, di un organo non più di garanzia ma partigiano nella lotta politica e questo danneggia non solo i magistrati ma innanzitutto la qualità della nostra democrazia». «Gli organi di stampa parlano da giorni di uno scontro tra politica e giustizia - prosegue - Che sia chiaro: l’Anm e la magistratura non sono in scontro con nessuno, non alimentano polemiche, non vogliono che ai contenuti di alcuni interventi critici e ai provvedimenti giudiziari si sostituisca un dibattito sterile. Cosa che ci riporta a un passato lontano dal quale vogliamo prendere le distanze».

 

 

E c’è anche la rivendicazione di poter intervenire sulle riforme: «I magistrati fanno il loro mestiere nelle aule - assicura Santalucia - lo fanno anche quando l’imputato è un politico e questo non cambia il loro modo di essere, il loro modo di esercitare la giurisdizione con rigore ed approfondimento. L’Anm da sempre rivendica un suo diritto e dovere di parola nel dibattito pubblico sulle riforme. Questa non è un’interferenza né un modo di invadere il campo della politica ma è semmai un rapporto costruttivo con la politica perché possa migliorare se nel caso le riforme che vengono poste all’attenzione del Parlamento». L’accusa del governo alla magistratura è «gravissima» secondo Santalucia - che tira in ballo addirittura le europee del 2024 - perché è quella di «schierarsi in maniera faziosa nello scontro politico in vista delle elezioni europee. Qui non si tratta di criticare la magistratura, se si fa bene o male qui siamo di fronte a una critica che nega in sé l’esistenza della magistratura. Se un magistrato è fazioso, se è politicamente schierato non è un cattivo magistrato, semplicemente non è un magistrato». Poi l’affondo contro il ministro Carlo Nordio: «Il sospetto», è che il tema della separazione delle carriere e le altre riforme nel settore della giustizia vengano sbandierate dalla politica, come misura di «punizione nei confronti della magistratura. Noi siamo intervenuti portando nel dibattito pubblico critiche argomentate al ddl, non apparteniamo a nessun partito e interveniamo esercitando un diritto di associazione».

 

 

Ma nel mirino c’è tutta la riforma della giustizia che il sindacato boccia completamente. Al sindacato non piace l’abolizione del reato di abuso d’ufficio perché sarebbe «in contrasto con l’indirizzo politico perseguito a livello internazionale, consistente nel potenziamento degli strumenti di prevenzione e repressione della corruzione, ed espongono l’Italia al rischio di procedure d’infrazione»; non piace la riformulazione del reato di traffico d’influenze illecite perché «finirebbe con il rendere leciti comportamenti pericolosi per la formazione delle decisioni della Pubblica amministrazione, suscettibili di inquinare il processo decisionale e la comparazione degli interessi attinti dall’esercizio del potere pubblico»; non piace l’idea di un collegio dei Giudici per le indagini preliminari che decida sulle misure di custodia cautelare perché «appare di difficile attuazione già nei grandi tribunali e sarà pressoché impossibile da gestire negli uffici medio-piccoli». E infine non piace la limitazione del potere di appello del pm perché rischia «di entrare in frizione con i principi scolpiti nella sentenza della Corte Costituzionale numero 26 del 2007, che già si pronunciò sulla precedente legge cosiddetta Pecorella, sostanzialmente nel medesimo senso».

 

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