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Sbarra ammonisce Landini: “Non si può stare ai tavoli di trattativa e sulle barricate”

Mario Benedetto
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Il confronto con i sindacati continua a rappresentare elemento importante delle politiche per il lavoro. In un colloquio con Il Tempo il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, illustra metodo e prospettive in grado di assicurare il raggiungimento di obiettivi comuni.

Segretario, c’è chi reputa che il confronto dei sindacati con il governo sia «finto»: quale il vostro giudizio?
«Se lo pensa veramente, chi lo dice non dovrebbe stare ai tavoli. O si protesta, o si tratta. Noi pensiamo che con l’incontro del 30 maggio a Palazzo Chigi e gli impegni presi dalla premier Meloni, si sia aperta una fase nuova, tutta da negoziare, con diversi tavoli di confronto su riforme istituzionali, politiche industriali, salute e sicurezza, sanità e contratti di settore, pensioni e previdenza, tutele dei lavoratori della cultura, infrastrutture. Un percorso che proseguirà nelle prossime settimane e a settembre. La trattativa deve continuare in modo serrato. Poi, certo, verrà il momento di tirare le somme, senza fare sconti. Ma sminuire questi spazi di confronto equivale a negare il senso stesso della lotta che abbiamo messo in campo in questi mesi e che aveva l’obiettivo di riannodare il dialogo, senza pregiudizi, con il Governo».

 

 

Eppure c’è una palese divaricazione di giudizio tra la Cisl e la Cgil..
«Priorità ed obiettivi comuni, sensibilità diverse. Noi pensiamo che il giudizio si dà a conclusione del negoziato. E che fino a quel momento, bisogna stare pancia a terra ed esercitare ai tavoli la delega che lavoratori e pensionati ci hanno concesso per conquistare avanzamenti concreti. È questo il senso della parola rappresentanza. Non si può stare contemporaneamente al tavolo e sulle barricate»

I numeri danno ragione alle politiche sul lavoro attualmente..
«Il tasso di disoccupazione da anni non era così basso, conseguenza di un’economia italiana che si è mostrata particolarmente resiliente portando a due anni di continua crescita dell’occupazione, compresa quella femminile e giovanile. Peraltro a crescere sono stati soprattutto i dipendenti a tempo indeterminato, mentre quelli a termine si sono notevolmente ridotti. È un vento che va sostenuto con politiche espansive. Rimane soprattutto il dato in negativo per l’occupazione giovanile e delle donne, con elevati tassi di part-time involontario, e continuiamo ad avere purtroppo il primato dei Neet».

Cosa proponete nell’ottica della creazione di nuovi posti di lavoro?
«L’occupazione non arriva per decreto, ma investendo maggiormente su infrastrutture, materiali e sociali, politiche industriali ed energetiche, pubblico impiego, politiche sociali e Sud. Soprattutto, occorre concentrarsi sulle riforme del Pnrr a maggior impatto sul lavoro di donne e giovani, che sono quelle relative all’istruzione e alle politiche attive, compreso l’orientamento scolastico e formativo, fondamentale per orientare ragazze e ragazzi verso le competenze più richieste. Servono incentivi forti e strutturali che rendano meno costosa le assunzioni stabili e più onerose per le aziende quelle a tempo determinato».

 



Quali restano per voi le altre priorità?
«Oggi la priorità rimane per noi quella di contrastare gli effetti dell’inflazione, arginando l’enorme speculazione dei prezzi, tutelando i salari e le pensioni, sostenendo le famiglie più deboli. Bisogna rinnovare tutti i contratti pubblici e privati, ridurre la pressione fiscale sulle fasce medie e popolari da lavoro e pensioni, far ripartire la piena perequazione all’inflazione delle pensioni. Spingeremo per far detassare progressivamente tutte le tredicesime, rendere strutturale il taglio del cuneo contributivo sul lavoro, restituire il fiscal drag».

Questione salari: priorità sociale ma anche «volano» per consumi e sviluppo...
«La crescita dei salari è legata alla crescita del paese, qualità e stabilità del lavoro, redistribuzione della produttività e dei profitti delle aziende, aggregazione di un sistema produttivo estremamente frammentato. Le prime misure da mettere in campo sono l’azzeramento delle tasse sulle retribuzioni premiali, professionali e scomode, puntare sull’estensione delle contrattazione aziendale e territoriale in tutti gli ambiti privati e pubblici. Siamo fermamente convinti che un salario minimo serva, e anche in fretta. Ma deve essere rigorosamente di natura contrattuale. La legge deve rimandare ai contratti prevalenti, che sono quelli confederali, estendendo i contenuti settore per settore alle aree ancora non coperte dalle relazioni industriali. Determinare arbitrariamente una soglia minima oraria è sbagliato. Si rischia una pezza peggiore del buco, con migliaia di aziende che uscirebbero dall’applicazione dei Ccnl attestandosi al mero rispetto della soglia legale e una spinta verso il baso delle retribuzioni medie. Per il lavoro debole, invece, il pericolo è un’esplosione del lavoro nero. Un buon contratto oltre ad avere valori medi superiori ai fatidici 9 euro, è molto di più di una semplice paga oraria: ci sono maggiorazioni, 13me e 14me, tfr, maggiorazioni, lavoro notturno, sanità e pensione integrativa, formazione continua».

Quali le vostre prossime iniziative?
«Il 14 luglio faremo una grande iniziativa della Cisl in cui presenteremo una vera e propria piattaforma per il rilancio della sanità pubblica, dei servizi socio-assistenziali, del sostegno alla non autosufficienza. Insieme alle nostre federazioni del pubblico impiego, dei pensionati e dei medici, ci confronteremo con il ministro della Salute Schillaci, la ministra del Lavoro Calderone e il presidente della conferenza delle regioni Fedriga, indicando la via di un nuovo Patto per il welfare che parta dalla centralità e la valorizzazione del lavoro. A settembre una altra iniziativa Cisl per rilanciare l’impegno della Cisl sul lavoro giovanile e femminile, politiche attive, nuovi lavori, con un grande piano per la crescita delle competenze e della formazione».

 

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