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Grecia, il triste declino di Tsipras ex idolo radical chic della sinistra nostrana

Pietro De Leo

 C’è stato un momento nel quale la Grecia, per il cittadino medio italiano, non voleva più soltanto dire «Cantami o diva del Pelìde Achille l’ira funesta», l’Acropoli e gli amori corsari a Mykonos. Ma significava anche quella coppia politica così rivoluzionariamente glamour che dalle parti del Partenone sfidava l’Europa matrigna e vorace. Interpreti di questo canovaccio tardo-epico erano quei due, Alexis Tsipras, primo ministro, e Gianis Varoufakis, ministro delle finanze. Di sinistra-sinistra, entrambi. Ma poco importava, o meglio, era secondario. In quel momento il bipolarismo culturale si delineava sulla rivendicazione degli Stati nazionali contro le esondazioni commissariali di Bruxelles. Era il 2015, l’avvento del sovranismo pop, le ferite ancora aperte di quelli che il filosofo tedesco Jurgen Habermas aveva definito «tranquilli colpi di Stato», ossia i rovesciamenti dei governi in Italia, Grecia, Irlanda, Portogallo, Italia e Spagna.

 

  

Ma torniamo ai due. Tsipras e Varoufakis. Creature nate nel bollore della sinistra radicale di Syriza, nelle cui sedi, si raccontava allora, c’erano appesi i ritratti di Karl Marx. Ottennero l’attenzione mondiale per la loro sfida politica e di popolo al memorandum di austerity imposto al Paese dall’Unione Europea. E, all’epoca della politica pop, diventarono subito idoli web-patinati. Varoufakis il ministro macho che girava in moto e piaceva alle donne. Tsipras che fece il voto di non indossare più la cravatta fin quando non fosse giunto ad un accordo con l’Ue, capelli impomatati, sorriso piacione tanto che, qualcuno, nella smania di affiancare ed associare azzardò paragoni con l’allora Presidente degli Stati Uniti Barack Obama.

Non era vero. O meglio, non del tutto. Tsipras era l’evoluzione radicalchic dell’attivismo terzomondista, quello, per dirla alla Flaiano, del «non sono comunista perché non me lo posso permettere». Proveniente da una famiglia alto-borghese, è il classico esempio di profilo «totuus politicus», nel senso che ha sempre e solo fatto quello. Un attivismo nelle sigle comuniste in età giovanile, si racconta di un suo tentativo, nel 2001, di partecipare alle proteste dei no-global in occasione del drammatico G8 di Genova, quello dei feroci scontri con la polizia e la morte di Carlo Giuliani. Tsipras, assieme ad altri attivisti greci, fu fermato al porto di Ancona e rimandato indietro.

Poi fa il consigliere comunale ad Atene, il leader di partito e su su il parlamentare e il Primo Ministro, in un turbinio di instabilità elettorali che lo portarono a guidare due governi tra il 2015 e il 2019. Un quadriennio in cui, appunto, sfidò l’Europa sul memorandum, scalò l’immaginario collettivo per poi fare un bel po’ marcia indietro, tanto che il sodalizio con Varoufakis poi si ruppe e tra i due volarono scontri verbali. E l’Europa, peraltro, provò anche a scalarla, da candidato alla presidenza della Commissione di un cartello di sinistra, che ebbe anche una succursale italiana, la lista «L’altra Europa con Tsipras».

 

Erano i tempi del renzismo arrembante (2014) e dunque chi non aderiva a quel Pd pseudo (molto pseudo) blairiano dell’ex sindaco di Firenze vide nell’oplita greco la nuova stella polare. Al progetto parteciparono nomi con Andrea Camilleri e Paolo Flores D’Arcais. Tra i candidati troviamo figure come Luca Casarini, Moni Ovadia, Curzio Maltese, Barbara Spinelli. E l’attuale componente della segreteria Schlein e deputato Pd Marco Furfaro. Superarono di un soffio lo sbarramento e poi, piano piano, il progetto andò a sgonfiarsi. Come lo spazio conquistato da Alexis nel racconto politico internazionale.

Abbassata la tensione agonistica con Bruxelles, sfumate le dichiarazioni favorevoli dei leader del campo avverso (Marine Le Pen con maggiore enfasi, Salvini e Meloni con cautela) in nome della battaglia comune, Tsipras è tornato ad essere quel che era scritto nella sua storia: un leader della sinistra radicale, tutto migranti, multiculturalismo, Lgbt. E, in quanto tale, ricacciato nell’ordinario della sua categoria, soprattutto in un dato costante: la sconfitta.