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Fuga dal Pd di Schlein: da Cottarelli a Marcucci una lunga lista di addii

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Pietro De Leo
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No, guidare un partito non è un pranzo di gala. Né è come comiziare esibendosi in astrusità verbali, magari con a fianco una borraccia che fa tanto green. Se ne starà accorgendo Elly Schlein, che dopo la vittoria alla corsa per la leadership si è imbattuta sulle asperità del percorso, e sugli effetti della sua bussola, radicale. L’altroieri è andata in piazza a stringere la mano a Conte prima che si incamminasse il corteo del Movimento 5 Stelle. E già, lì, ha rimediato qualche fischio dei militanti pentastellati, segno che ricostruire il campo largo non sarà cosa facile. Poi Grillo ha detto quel che ha detto, sui «passamontagna» e le «brigate di cittadinanza», i moderati dem fibrillano e Alessio D’Amato, già candidato alla guida della regione Lazio, si dimette dall’Assemblea nazionale.

 

Sicuramente è un gesto dirompente. Che richiama la galleria di quelli invece hanno già fatto le valigie. Eletti in Parlamento, oppure esponenti storici. Alla seconda categoria vanno annoverati sicuramente Beppe Fioroni, già ministro e alfiere dell’ala cattolica (oramai meno che una ridotta) nei dem. Così come ha preso la porta Andrea Marcucci, che invece ha una cultura di scuola laica, ma comunque moderata, e si è avvicinato al terzo polo. Approdo dove, nello specifico Italia Viva, ha scelto di arrivare Enrico Borghi, senatore, che nella segreteria Letta aveva l’incarico delle politiche per la sicurezza. Se n’è andato anche il suo collega Carlo Cottarelli, economista, che ha lasciato proprio lo scranno di Palazzo Madama, tornando ai suoi studi e ai progetti educativi. A Strasburgo, poi, ha detto addio al Pd Caterina Chinnici, e questa è una dinamica molto rilevante, visto che ha aderito a Forza Italia. Appena qualche mese fa, Chinnici guidò il centrosinistra nella sfida per la Regione Sicilia, e fu sconfitta dal centrodestra condotto proprio da un esponente azzurro, Renato Schifani.

 

C’è dunque questa successione di defezioni, che però non è l’unico problema di Schlein. Esiste anche più d’un nodo politico interno al partito, e forse è il tema più importante. Sul piano valoriale, ad esempio, la questione dell’utero in affitto fu sollevata, qualche mese fa, da Silvia Costa, giornalista, già europarlamentare e attualmente in Assemblea Nazionale. Che ha contestato con parole chiare la pratica della maternità surrogata, al contrario vista favorevolmente dalla Segretaria.

 

Poi c’è un costante scollamento tra la segretaria e il livello del partito che governa il territorio, fatto da sindaci ed amministratori locali. Sulla questione ambientale, per esempio. Schlein aveva beneficiato gli imbrattatori dei monumenti con più di una strizzata d’occhio, invitando l’opinione pubblica a guardare «la luna, non il dito» di quella protesta. Peccato che, però, a subire i blitz più significativi siano Palazzo Vecchio. E soprattutto Roberto Gualtieri, Primo cittadino della Capitale, che anche lui ha avuto i suoi grattacapi ed ha utilizzato parole durissime contro quegli attivisti. Con Gualtieri, peraltro, il punto di frizione è un altro, ossia il termovalorizzatore. Il sindaco è favorevole all’opera, che darebbe un impulso vero al completamento del ciclo rifiuti in città. Però ad esempio Sandro Ruotolo, componente della segreteria Schlein, tempo fa ha proposto di indire un referendum sulla questione, sostenendo che realizzare il termovalorizzatore significherebbe abbandonare la differenziata. Il partito derubricò quella posizione come «a titolo personale», però dà il senso del clima che si respira. Così come su un altro tema di questi giorni, ossia l’abolizione dell’abuso d’ufficio.

L’iniziativa del governo, infatti, è vista di buon occhio da molti sindaci (a partire dal pesarese Matteo Ricci e dal barese Francesco Decaro, pure presidente Anci) che conoscono il governo del territorio, dunque la «paura della firma» e il rischio sempre pendente di esposti ed iscrizioni nel registro degli indagati. Aprendo, quindi, un nuovo momento di autocoscienza in un partoto il cui vertice è imperniato della ben nota cultura moralista e giustizialista.

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